Il sipario

Immaginiamo che un compositore contemporaneo abbia scritto una sonata del tutto simile per forma, armonie, linee melodiche, a quelle di Beethoven. Immaginiamo anche che questa sonata sia stata composta così magistralmente che, se davvero fosse di Beethoven, figurerebbe fra i suoi capolavori. Per magnifica che fosse, firmata da un compositore contemporaneo susciterebbe il riso. Nella migliore delle ipotesi, il suo autore verrebbe applaudito come un virtuoso del pastiche.
Ma come! Proviamo un piacere estetico davanti a una sonata di Beethoven e non ne proviamo affatto davanti a un'altra dello stesso stile e dello stesso fascino se è firmata da un nostro contemporaneo?
Non è il massimo dell'ipocrisia? La sensazione di bellezza, anziché spontanea, dettata dalla nostra sensibilità, è dunque cerebrale, condizionata dalla conoscenza di una data?
Non possiamo farci nulla: la coscienza storica è così intrinseca alla nostra percezione dell'arte che un simile anacronismo (un'opera di Beethoven che porta la data dei nostri giorni) sarebbe spontaneamente (cioè senza alcuna ipocrisia) avvertito come ridicolo, falso, incongruo, addirittura mostruoso. La nostra coscienza della continuità è tanto forte da intervenire nella percezione di ogni opera d'arte.
Jan Mukafovsky, il fondatore dell'estetica strutturalista, ha scritto a Praga nel 1932: «Solo la supposizione del valore estetico oggettivo dà un senso all'evoluzione storica dell'arte». In altri termini: se il valore estetico non esiste, la storia dell'arte non è che un immenso deposito di opere la cui successione cronologica è priva di senso. E inversamente: è solo nel contesto dell'evoluzione storica di un'arte che è possibile cogliere il valore estetico.

Milan Kundera: da "Il sipario" Adelphi editore, 2005

Commenti

Etichette

Mostra di più