Dametown

Dametown è una città sul mare, come tante altre. Non ha una spiaggia particolarmente bella, non ha lidi, non offre serate culturali né qualsiasi altro svago. Ha tre bar-tabacchi, quattro pizzerie, un salone da uomo, qualche donna esperta in tinta per i capelli, una farmacia, due distributori di carburante. Tre alimentari, due macellerie, qualche fruttivendolo di troppo. Dametown è molto frequentata per la sua calma apparente. E’ un borgo che in passato fu utilizzato come base per le offensive militari. Si respira l’aria pulita di campagna, forse perché si utilizza più la bici che la macchina, molti non l’hanno nemmeno, preferendo spostarsi a piedi. E’ un paese prevalentemente over cinquanta, con qualche giovane famiglia, che sfruttando i valori immobiliari molto bassi, ha eletto residenza qui, abbassando un po’ la media età. Dametown nel 2002 ha vinto anche la targa di Paese più proficuo, grazie ad un’attività volta al riutilizzo dei beni, che in altri luoghi andrebbero destinati all’immondizia. Dametown è l’unica città dove non esiste vigile, dove la circolazione va avanti da sé, una perfezione inaudita. Nessun abitante è coinvolto in processi sia civili sia penali, i dibattiti terminano con strette di mano. Non esiste un avvocato, del resto farebbe la fame. E’ una città ospitale e dall’economia prevalentemente basata sull’agricoltura, non v’è famiglia senza terra e campi arati. Da un po’ di tempo, però, la globalizzazione è arrivata anche qui e ora i campi sono abbandonati all’incuria,sono sorti vari fast-food, la gente ha cominciato ad ambire a livelli superiori di civiltà e l’aria non è più salubre, le campagne saccheggiate e malridotte con sacchi dell’immondizia lasciati qua e là. La globalizzazione nella peggior accezione ha intaccato i valori di questa bella e anonima città balneare. Da anni si governa in tanti. E’ successa una cosa mai vista prima. Alle ultime elezioni amministrative vi è stata un’affluenza record, ma non è tutto qui, nessuno ha vinto. Ognuno ha votato per sé e il regolamento comunale non prevede ballottaggi, si sta costruendo un municipio per contenere il fenomeno. Nessuno si lamenta più di chi governa, sono in tanti davvero e ciascuno responsabile e non si sa più come raccomandare gli amici. Vi è un conflitto d’interessi senza precedenti. Si è deciso che ogni giorno ci deve essere una giunta diversa, questo per accontentare il volere del popolo. Qui tutti valgono per uno. E’ stata una lezione di civiltà e democrazia, niente scandali e brogli. Un problema, però, impensierisce il paese. Da qualche tempo si è iniziato a far uso di auto comunali, ciascuno utilizza la sua e il traffico è rallentato parecchio. File interminabili nelle ore cruciali della giornata. Tutti sono d’accordo su un punto: a bloccare le arterie del paese sono i diversamente abili che con i loro mezzi di locomozione rallentano la circolazione. I clacson impazzano per la città, chi suona da destra, chi da sinistra contro questi incivili che frenano la routine quotidiana. Le giunte giornaliere prima di questo inconveniente avevano adottato la politica del non decidere, evitando atti con i quali inimicarsi i compaesani, si preferisce il nulla piuttosto che essere ricordati male. Anche questo è fare politica. Il problema della circolazione ha creato un atto condiviso da tutte le giunte giornaliere, che all’unisono hanno deliberato il divieto di circolazione dei diversamente abili a bordo di loro particolari mezzi nelle ore 7.30-11, 12-15, 19-21. E’ stato il primo atto di questo tipo di democrazia, tutti d’accordo e problema risolto. Giusto per intenderci e chiarire la situazione: le persone diversamente abili non avevano diritto al voto e i loro cari hanno sostenuto le ragioni popolari. L’atto fu adottato da subito e per farlo rispettare furono assunte delle nuove figure comunali, i cosiddetti ausiliari del buon costume e civiltà. Non ci furono multe, perché i familiari dei diversamente abili in più avevano sequestrato i mezzi in quelle ore, nelle quali il transito era loro vietato. La città si caricò d’odio e nacquero due partiti, uno facente capo ai promotori dell’ordine e sicurezza, denominato PDa, Partito degli abili e un altro degli interdetti dal provvedimento comunale, denominato PDDa, Partito dei diversamente abili. Si organizzavano riunioni e convegni, ma quelli del PDDa non avevano diritto al voto, tutti di età inferiore alla soglia dei venti anni necessari all’acquisizione dell’elettorato attivo e passivo. La maggioranza della città era contenta di come si stava amministrando la cosa pubblica e organizzava spesso eventi e serate per celebrare il buon governo cittadino, con tanto di discorso infinito delle giunte comunali. Un giorno però occorse un incidente automobilistico tra rappresentanti del PDa e i feriti gravi furono parecchi, alcuni riportarono delle lesioni permanenti che li costrinsero a passare al PDDa. Dall’altra parte s’iniziarono a battere per l’abolizione del provvedimento vergognoso e incostituzionale, termine nuovo da queste parti. Ora anche il PDDa aveva persone candidabili ed eleggibili. Il PDa rimaneva fermo sulle proprie scelte, accusando i nuovi diversamente abili di averli traditi. Il caso volle che una delle giunte giornaliere fosse costituita propria dai nuovi affiliati del PDDa, ma che nessuno potesse raggiungere il municipio per via del divieto. Fu un giorno senza giunta, ma come tutti gli altri, a ben vedere. Il regolamento comunale prevedeva “Le elezioni sono indette automaticamente per il giorno successivo al primo senza giunta”. Il sistema era caduto, il PDa doveva ora affrontare nuove elezioni per difendere la legalità e la sicurezza stradale. Si votò e il PDa non cambiò modo, ognuno voto per sé, del resto, a loro parere, quel governo aveva dato i suoi frutti. Il PDDa, costituito da quasi tutti senza diritto al voto tranne i nuovi membri, scelse un leader e lo votò all’unisono. Con soli dieci voti Il PDDa vinse le elezioni. Il provvedimento fu conservato, con una variante: fu estromesso l’avverbio “diversamente” dal testo.

Giuseppe Zanzarelli

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