Facciamo la Rivoluzione!

Sono stufa di uno sdegno furibondo che non sia preludio alle azioni. Sono arrivata invece a crederle possibili, quasi inevitabili. Direi addirittura auspicabili se non provassi ancora un po’ di orrore per la violenza. Un po’. La mia ispirazione più gandhiana vacilla. Mi piace il pensiero che lentamente compie un viaggio, raggiunge mete, scrive grandi pagine. Ma ultimamente avverto un’insolita insofferenza. Percepisco un vuoto. Per me, per noi, per questo Paese. Un Paese che non conosce una Rivoluzione è un Paese che si attorciglia sulle stesse cose, che non rompe catene, che non conosce il sereno dopo la tempesta, che non si interroga mai fino in fondo. Senza Rivoluzione siamo orfani di autentiche battaglie. E per quanto la battaglia evochi l’eco del corpo a corpo, la brutalità dello scontro non mi spaventa più come un tempo. Anzi, mi sconvolgono di più il silenzio, la rassegnazione o la colpevole complicità. E l’assenza di dignità, di forza, di passione. Non sento più le suadenti sirene della docile ragionevolezza perché subdoli e immorali sono i risvolti. E intollerabile è diventata l’arroganza dei profittatori di questo spirito molle.
Non c’è patrimonio di valori che ci renda fieri, nobili, grandi. Siamo sbrindellati. Stritolati da un meccanismo che ci ha spolpati e involgariti. Schiavi di logiche perverse e di pericolose illusioni. Fiacchi, miopi, incolti. E non mi pare di infierire ma di fotografare solo la tristezza di un vacuo immobilismo sorretto da assurde speranze. Nel bla bla della crisi siamo confusi da una massa ingombrante e appiccicosa di sciocchezze, di vuoti desolanti, di ferite sanguinanti, di errori mostruosi e di menzogne colossali.
Il nulla dilaga. E noi ci scopriamo vestiti di sogni improbabili e polverosi. Senza anima per reagire e con troppe cose da svendere in un mercato morto. Lame nella carne e atavico ingarbuglio ci fanno sguazzare o soccombere in un pantano nauseante.
Ho voglia e bisogno della ruvida realtà, di quel contatto con il bene e con il male che ci faccia prendere a pugni il disastro morale, la sfacciataggine della nostra vile dissolutezza, la povertà delle nostre corse inutili, la squallida e feroce potenza dei nostri padroni.Ho urgenza di distruggere gli schemi che ci hanno infilato in un vicolo cieco. Mi prudono le mani. Ho l’ansia di rimboccarmi le maniche. Di presentare il conto a chi mi sta facendo pagare cara la vita. Di sentirmi essere umano e parte di una comunità. Di alzare la testa. Mi viene da urlare perché il pensiero si svegli e porti le gambe in strada con passo deciso e coraggioso. Voglio spegnere le voci che ci drogano per dominarci. Voglio la Rivoluzione. Perché la terra tremi, perché le odiose persuasioni crollino, perché i cattivi provino la rabbia dei buoni, perchè ci sia il senso del sudore e del percorso, perché ci sia l’onore della sofferenza.
Voglio mani sporche di lavoro e occhi lucidi di disperazione, con la tensione della salita e la determinazione delle idee.
Voglio la Rivoluzione. Per buttare giù le torri, guardare in faccia il nemico, cercare qualcosa per la quale valga la pena di sperare ancora.Voglio la Rivoluzione. Perché la lotta non passi da un talk show e non ci siano lustrini compiaciuti che presentano altri lustrini come eroi sociali. Perché il ricco impaurito e sgomento non abbia l’ardire di sghignazzare davanti al povero. Perché nessuno osi rappresentare i deboli senza esserlo. Perché la pulizia levi le pulci dai meandri immondi del nostro retroterra. Perché si ritrovi sul campo il rigore della libertà e del pensiero. Per sventrare questo teatrino osceno di una recita disgustosa. Per liberarci dalla nostra stupidità.
La misura è colma. Il momento è arrivato. Consegniamoci almeno alla storia.

Irene Spagnuolo

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