Sophie Gironde

Finalmente mi resi conto che in quella nostra impresa c'era qualcosa che non funzionava, proprio come era successo l'ultima volta, ventidue anni prima, e come spesso accadeva quando Sophie Gironde m'invitava a condividere un momento di complicità. Qualcosa rendeva irreale la realtà che stavamo vivendo insieme. Era il numero di cuccioli estratti dal ventre delle madri. Le orse polari di solito danno alla luce due o tre cuccioli, in ogni caso mai più di tre. Ora ne avevamo attorno già dieci o undici, e forse anche tredici o quattordici, poiché nella penombra e nel disordine era diventato difficile tenere il conto esatto. E Sophie Gironde stava di nuovo per mettersi all'opera sulla terza orsa. Le confidai i miei dubbi. Non so perché, mi esprimevo ricorrendo a giri di frasi e a parole che mi erano estranee, dicevo incerata anziché telo, dissertavo sulle partorienti con voce biascicante. Lei mi lanciò un'occhiata di sbieco, ma non rispose nulla. Si vedeva chiaramente che non credeva alla mia esistenza.

— Antoine Volodine, Sophie Gironde (da Angeli minori)

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