Esercizio

A passeggio con la scrittura.
Ho scelto il colore arancione.

Per strada ho visto.

L’insegna di un supermercato,
una sciarpa, a mio parere orribile, attorno al collo di una signora di mezza età con effetto catarifrangente,
una tra le mille foglie cadute da un albero credo di quercia che aveva una sfumatura arancio appena visibile, le tovaglie che coprono i tavoli del bar dove al mattino mi fermo per il caffè. Su quelle tovaglie restano sempre le briciole delle brioche mangiate da chi si è seduto prima di me. Mi danno un senso di calore, di profondità, di vita.

A casa.
Divano a due posti. Quando mi ci distendo significa che la giornata finalmente è finita e posso godermi un libro o un prosecco in santa pace.
Matita non temperata da mesi e destinata a restare così, tra le cose inutili, visto che ogni giorno decido di comprare un temperamatite e regolarmente non lo faccio.
Fiore su cuscino Ikea blu. Mi fa pensare all’estate e mi viene la malinconia.

Ho scritto per circa quindici minuti e poi per altri quindici minuti pensando alle tovaglie del bar.

Quando Piero entrava in quel bar, di primo mattino, puntualmente pensava che le tovaglie fossero di cattivo gusto, quasi inopportune, come uno scarabocchio sul dipinto di un tramonto. Quelle tovaglie erano di colore arancione, ma di un arancio che sapeva di consunto, di vecchio, senza luce. Piero, tuttavia, doveva ammettere che nonostante tutto quell’arancione l’atmosfera del bar gli trasmetteva un senso di calore, di familiarità che pochi luoghi riuscivano a fargli sentire.

L’odore del caffè, dei cornetti appena sformati, il continuo vociare dei clienti, i quotidiani con le impronte di mani sudate riuscivano a dare un senso alla sveglia delle cinque. Piero, muratore a giornata da una vita, ogni mattina si svegliava alle cinque per andare al lavoro, indossava una tuta arancione e saliva, dopo aver bevuto il caffè al bar con le tovaglie arancioni, su un camioncino che pure era arancione. Per la verità il camioncino che lo portava al cantiere non era proprio arancione, diciamo che la verniciatura ricordava qualcosa che un tempo, prima delle intemperie, dei graffi e delle botte, aveva la pretesa di essere arancione. Come ogni giorno anche quel mattino Piero pensò a quanto fossero brutte le tovaglie arancioni, ma constatò pure il rilievo che l’arancione aveva nella sua esistenza. La sua vita era colma di arancione, quel colore lo accompagnava dappertutto, sembrava inseguirlo, eppure non ci aveva mai fatto caso fino a quella mattina quando con gli occhi semichiusi dal sonno osservò con insistenza le tovaglie .

Quando si decide a cambiare il colore di queste tovaglie?

Era strano, andava a bere lì il caffè da anni, ma non aveva mai parlato con la proprietaria del bar, una donna che tentava di nascondere i suoi anni con un eccesso di cipria arancione sulle guance, eppure quel mattino le indirizzò una domanda ben precisa. La donna, con in mano un vassoio pieno di tazzine vuote, lo guardò con un’ espressione incuriosita.

Non le piacciono?

Il tono della sua voce lasciava intuire la speranza che Piero rispondesse con un delicato no sono belle era una semplice domanda, dicevo così per dire. Ma Piero non rispose così, restò in silenzio. Si mise la mano sinistra in tasca tirò fuori un pennarello blu e cominciò a colorare la tovaglia. Amava il blu. I clienti dei tavolini al suo fianco lo osservavano con apprensione, come se si aspettassero chissà cosa da quel gesto.
La donna si limitò solo a dirgli
Quando ha finito mi fa il favore di uscire fuori da qui
Piero continuò meticolosamente a dipingere ogni punto della tovaglia, il blu stava quasi vincendo sull’arancione quando il pennarello, sfinito, si consumò. A quel punto Piero salutò educatamente e si incamminò verso il camioncino arancione.

Camminava veloce, mentre pensava che quell’arancione non gli piaceva affatto, così come non gli piaceva la sua vita, la sua tuta da lavoro e il colore del camioncino. Si fermò e decise che da quel momento doveva fare qualcosa che avesse a che fare con il blu, magari il marinaio ,il custode di un delfinario, il nuotatore o il vigile urbano con indosso una bella divisa. Doveva smetterla, l’arancione lo stava annientando. E poi avrebbe scelto un altro bar magari con i tavolini e le sedie blu. Doveva ricominciare da un altro colore .

Un clacson e una frenata lo fecero sobbalzare. Salì di corsa sul camioncino arancione, con la sua tuta arancione, salutò il suo amico che aveva anche lui un cappellino arancione e decise che l’indomani lo avrebbe invitato a bere un caffè nel bar con le tovaglie arancioni.
Tutto sommato lì il caffè era buono. Nonostante le tovaglie.

Marianna Bassi

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