Il racconto dell'ancella

Vorrei che questa storia fosse diversa. Vorrei che si svolgesse ad un livello più elevato. Vorrei che mi facesse apparire se non più felice, almeno più positiva, meno esitante, meno distratta da cose banali. Vorrei che avesse una struttura più equilibrata. Vorrei che parlasse d’amore, o di improvvise percezioni importanti per la propria vita, o anche di tramonti, di uccelli, di temporali, di nevicate. Forse parla anche di questo, in un certo senso; ma in una rete intessuta di bisbigli, di supposizioni, di segreti insondabili, di parole non dette, di movimenti sotterranei e misteriosi. E c'è tanto tempo da sopportare, pesante come cibo fritto o fitta nebbia; avvenimenti fiammeggianti come esplosioni, per strade altrimenti decorose, placide, sonnolente. E mi spiace che ci sia tanto dolore in questa storia. Mi dispiace che sia a frammenti, come un corpo preso in un fuoco incrociato o smembrato a forza. Ma non c’è nulla che possa fare per cambiarla. Ho cercato di metterci anche alcune cose buone. I fiori, per esempio, perché dove saremmo senza di loro? Ciononostante mi fa male raccontarla più e più volte. Una bastava: non mi era bastata una volta, a suo tempo? Ma continuerò questa triste , arida, squallida storia, zoppicante e mutilata, perché voglio che tu la senta, come sentirei la tua se mai ne avessi l'occasione, se ti incontrassi mentre fuggi nel futuro o in cielo o in prigione o sottoterra, ovunque. Raccontarti qualcosa significa credere in te, credere che esisti. Se ti sto raccontando questa storia è perché voglio che tu esista. Racconto, dunque esisti.

— M. Atwood

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