Perché la crisi climatica ci sta rendendo più depressi, aggressivi e nostalgici

L’abbiamo detto più volte, e ormai non abbiamo dubbi: la crisi climatica sta modificando ogni singolo aspetto della nostra esistenza. Stiamo perciò prendendo dimestichezza con l’idea che questo problema rivoluzionerà le nostre vite, a partire dal modo in cui mangiamo, al modo in cui ci spostiamo, a come lavoriamo e abitiamo. Quello che però forse non ci aspettavamo era che il riscaldamento globale avrebbe intaccato anche il nostro equilibrio psicologico, andando a incidere su patologie e nevrosi che fino a poco tempo fa nessuno si sarebbe sognato di accostare al cambiamento climatico. E non parlo di una prospettiva futura, parlo di qualcosa che sta già succedendo.

Alcuni giorni fa sulla rivista Nature è stato pubblicato uno studio che mostra come l’aumento delle temperature e dell’umidità sta incidendo sul tasso di suicidi in diversi punti del globo. Non è la prima volta che viene presa in considerazione la possibilità che un ambiente più caldo finisca per aggravare alcune patologie psichiche, ma è la prima volta che viene preso in esame un campione così ampio (60 paesi diversi) e un periodo così esteso (gli ultimi 35 anni). Ma il dato più interessante è che questo studio mostra un’eventualità che per ora non era stata presa in considerazione, e cioè il fatto che il fattore determinante non sia tanto il calore in sé, quanto l’umidità.

(…) La cosiddetta “temperatura di bulbo umido” è il parametro utilizzato per calcolare l’effetto refrigerante dell’evaporazione di acqua in un determinato ambiente. Per calcolarlo si usa un termometro avvolto in un panno umido che viene sottoposto a un flusso d’aria costante. Quando la temperatura registrata da questo termometro (anche se il termine corretto sarebbe “psicrometro”) supera i 35 gradi, il corpo umano non è più in grado di abbassare la propria temperatura sudando, e di conseguenza rischia il collasso fisiologico degli organi.

Tra le ricadute già osservabili del riscaldamento globale c’è un netto aumento delle ondate di calore e dei picchi di umidità oltre i 35 gradi di bulbo umido. Questo significa che se davvero l’umidità incide in maniera pesante sulle condizioni psico-fisiche degli individui, il problema è destinato ad aumentare nei prossimi anni.

Le ragioni per cui un’umidità eccessiva influisce sulla salute mentale di una persona già fragile sono tanto semplici quanto disarmanti. Innanzitutto, l’abbiamo appena detto, un ambiente umido compromette la nostra capacità di sudare, dunque di ridurre la temperatura corporea, questo è problematico già di per sé ma lo è ancora di più per chi è in cura con farmaci come gli antidepressivi, che anche in condizioni normali interferiscono con la regolazione della temperatura corporea. In parole povere, questo significa che le persone affette da depressione, schizofrenia, disturbo bipolare o sindrome ossessiva – ma anche chi soffre di ansia e insonnia – rischiano di subire ancor di più gli effetti psicologici già debilitanti di un ambiente surriscaldato.

Un dato particolarmente preoccupante riguarda la tipologia di soggetti colpiti. A quanto pare, infatti, il tasso di suicidio aumenta in correlazione all’umidità soprattutto tra le donne e tra gli individui più giovani. Questo per ragioni diverse.

(…) nel mondo le donne si trovano spesso in condizioni di discriminazione e marginalizzazione, e ancor più spesso sono costrette a farsi carico di uno stress fisico e psicologico maggiore, essendo in tantissimi paesi nella posizione di doversi prendere cura in media di intere famiglie, il che contribuisce la categoria ad essere particolarmente vulnerabile agli effetti della crisi climatica.

Anche gli individui più giovani (tra i 5 e i 24 anni di età, per capirci), sono una categoria vulnerabile, e ciò è dovuto al fatto che si trovano a subire gli effetti di un clima in cambiamento mentre ancora sono nel pieno del proprio sviluppo mentale, e dunque dispongono di meno difese. Non solo, è stato osservato come nella maggior parte dei casi i disturbi psichiatrici comincino a manifestarsi intorno ai 14,5 anni di età, per poi diventare cronici entro i 18 anni. Questo significa che nel pieno dell’adolescenza gli individui sono incredibilmente vulnerabili alle ricadute psicologiche di ondate di calore, alluvioni, siccità. Uno studio pubblicato lo scorso settembre dall’università di Montreal ha mostrato come l’esposizione a questi eventi climatici comporti un aumento di ansia e depressione, dei casi di sindrome da stress post-traumatico, per non parlare degli effetti sul sonno, l’apprendimento e i risultati scolastici.

Crescere in condizioni climatiche stressanti, insomma, può rovinarti a vita. Questo oggi si registra soprattutto nel Sud del mondo, ma stanno emergendo sempre più casi anche nei paesi industrializzati, in particolare nelle zone costiere e nelle città. (…)

Fabio Deotto

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