La cava fatata

C’era una volta, non si tratta di molto tempo fa, un piccolo uomo simile ad un folletto che aderiva a grandi ideali.
Nel piccolo paese della valle dove abitava possedeva un podere rimasto negli anni verde e incolto a ridosso di un brillante torrente, inestimabile alleato dello splendore primaverile di quella terra.
Un giorno, un orco di imprenditore interruppe una delle monotone giornate del piccolo uomo e gli piazzò d’innanzi una particolare richiesta, un’offerta sconvolgente, quanto mai disarmante: la sua preziosa terra in cambio di un’attività che sarebbe andata contro i suoi ideali, avrebbe recato danni al suo poderetto e sarebbe stata difficile da asservire perfettamente al controllo delle leggi della valle.
Soprattutto in cambio avrebbe avuto tanto, tanto danaro. Ma non danaro qualsiasi, oro speciale, conveniva al piccolo uomo ma anche all’imprenditore, infatti questi diceva che lo avrebbe recuperato con davvero poca fatica.

Il piccoletto, senza perdere nemmeno troppo tempo, convenne sul fatto che non voleva certo apparire lui sconsiderato, irrazionale.
Pertanto vendette il suo tesoro per quella manciata di monete, illegalità e degrado.
In fondo gli ideali contano fino ad un certo punto nella vita delle bestie no? E poi grandi ideali per grandi mucchi di oro sembrava uno scambio equo.

La terra fiorente passò nelle mani dello zelante imprenditore. Questi in realtà non si muoveva molto bene nell’ambiente della cultura e dell’ecologia. Anzi a ripensarci ultimamente se l’era vista alquanto brutta a riguardo, quando, trovata una graziosa casa di zucchero in un prato ottenuto da poco, gli venne in mente di ristrutturarla secondo suo gusto. Sfortunatamente la casa era una di quelle bellezze sotto la protezione dell’accademia di Bei Dessert, dei Movimenti Culinari, e stucco e vernice colorata poco si confacevano alla meraviglia artistica che nascondeva, rovinandola per sempre. Un piccolo malinteso per chi in fondo non è del mestiere.

Ma con questo terreno sarebbe andata meglio, non avrebbe fatto altro che scavare. E guadagnare.
Funzionava così: lui scavava e vendeva la terra nera che tirava fuori al prezzo più alto che riusciva, poi, quando avrebbe finito di scavare, avrebbe riempito la voragine con…con? Ma con quello che conveniva naturalmente!

Gli scavi vennero inaugurati.
Poco a poco passò il tempo, la buca si allargava e anche il portafogli dell’imprenditore.
L’orco recintò l’area ed eresse un grande cancello, per amministrarla meglio.
Continui viaggi portavano freneticamente la terra della cava fuori dalla recinzione, verso cantieri e acquirenti e i macchinari all’interno non si fermavano un attimo. Proprio così, pareva che le macchine non si fermassero nemmeno di notte, anzi era quello il momento in cui lavoravano di più.
Qualcuno fece presente che la questione poteva comportare dei problemi, specialmente se qualcuno fosse venuto a controllare di notte.
L’imprenditore montò allora delle telecamere sulla recinzione, per controllarla meglio.

Tempo dopo, giunse il momento di chiudere i lavori. Ma come fermarsi dopo tanto successo?
No, gli scavi sarebbero continuati, e tutto all’improvviso, tutto di notte, di modo che nessuno avrebbe potuto fare qualcosa.
Così, una sera gli abitanti della valle si addormentarono sapendo che la cava aveva raggiunto la sua massima profondità stabilita, e si risvegliarono su una voragine sorprendentemente più grande e profonda del giorno prima. Così accadde quasi due o tre volte, finché l’imprenditore non ebbe una multa e un rimprovero. Ma la multa era talmente bassa rispetto i guadagni del cavatore, che questi pagò, e poi ripeté la bravata.

Continuò così finche poté, dopodiché venne il momento di ricoprire lo scavo, ma come? Il materiale morbido, quello che serve allo scopo, era caro. Con le case di zucchero l’impresario non aveva molta affinità, ma se c’era una cosa nella quale era il migliore, era negli affari. C’è sempre un altro modo per rendere di più e spendere meno, sempre.

Ovviamente, queste vie alternative non sono pratiche ammesse nella valle, sono nocive e pericolose. Ma in fondo di cose pericolose nella cava ne aveva già fatte il nostro grasso amico.
Ancora la notte venne scelta come momento per portare a termine questa delicata e riservata operazione.
Prima le carrozze partivano cariche dalla cava, ora iniziarono a partirvi vuote e a giungervi piene. Piene di tonnellate buttate nello scavo. Piene di tonnellate di materiali a basso prezzo buttate nello scavo. Piene zeppe di tutto ciò di cui altri si volevano liberare, e che finiva nella cava, più profonda del dovuto, nelle vicinanze del caro corso d’acqua.

L’imprenditore sorrise, e guadagnò finché poté.

Il piccolo uomo di grandi ideali, divenne un grande uomo, e lo si trova ancora oggi in giro per le strade del paese a cantare di quei meravigliosi ideali che lui stesso ha mandato in rovina.
Questa è una favola italiana, dove non tutto è realtà, non tanto è finzione.

Silene Gambino

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