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Visualizzazione dei post da marzo, 2022

FramMenti

La vita è una tempesta, mio giovane amico. In un momento potrete scaldarvi al sole, in uno successivo andare a frantumarvi contro gli scogli. Che cosa vi rende un uomo, è ciò che si fa, quando arriva quella tempesta. Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo

Emeriti e non...

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Una volta si diceva "morto un Papa se ne fa un altro". Non é più cosi'. Oggi anche quelli sono intercambiabili. Papa difettoso, Papa sostituito. La Legge del Tempo non risparmia le corone di San Pietro, diventano Emeriti e si mettono da parte. Rimbalzano dal Vaticano le notizie sullo stato di salute di Francesco. E non sono buone, si dice che una o più malattie gli impediscano d'assolvere il suo mandato e pertanto debba essere sostituito. Dov'é finita la razza dei Papi che fino all'ultimo governavano serenamente (e lucidamente) il Regno in Terra ? Giovanni Paolo II° resistette fino all'ultimo respiro. Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini di quella Via Crucis, la sua sofferenza, la sua totale assenza, la fine prossima che lo rese fragile ed in balia dei suoi "servi" in quel del Vaticano. Benedetto fu più abile. Non si consumo' nell'attesa dell'eterno evento, ma si preparo' le valige per soggiornare nel Castello di Roma. Pa

FramMenti

«Ogni votazione è una sorta di gioco d'azzardo, come la dama o il “backgammon”, con una lieve sfumatura morale, un gioco con il giusto e l'ingiusto, con le questioni morali; e naturalmente le scommesse lo accompagnano. Il buon nome dei votanti non è in discussione. Può darsi che io dia il mio voto in base a ciò che considero giusto; ma non è per me vitale che il giusto prevalga. Sono disponibile a lasciare ciò alla maggioranza. L'impegno del voto, dunque, non va mai oltre quello della convenienza. Persino votare per il giusto è un non fare niente per esso. Significa solo manifestare debolmente agli uomini il desiderio che il giusto debba prevalere. Un uomo saggio non lascerà il giusto alla mercé del caso, né desidererà che esso prevalga mediante il potere della maggioranza». Henry David Thoreau

Il diavolo oggi è l'approssimativo

 «Il diavolo oggi è l’approssimativo. Per diavolo intendo la negatività senza riscatto, da cui non può venire nessun bene. Nei discorsi approssimativi, nelle genericità, nell’imprecisione di pensiero e di linguaggio, specie se accompagnati da sicumera e petulanza, possiamo riconoscere il diavolo come nemico della chiarezza, sia interiore sia nei rapporti con gli altri, il diavolo come personificazione della mistificazione e dell’automistificazione. Dico l’approssimativo, non il complicato; quando le cose non sono semplici, non sono chiare, pretendere la chiarezza, la semplificazione a tutti i costi, è faciloneria, e proprio questa pretesa obbliga i discorsi a diventare generici, cioè menzogneri. Invece lo sforzo di cercare di pensare e d’esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l’unico atteggiamento onesto e utile». – Italo Calvino (Note sul linguaggio politico, in Una pietra sopra)

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Sono arrivato alla mia età senza mai aver voluto appartenere a nulla, non a una chiesa, non a una religione: non ho avuto la tessera di nessun partito, non mi sono mai iscritto a nessuna associazione, né a quella dei cacciatori né a quella per la protezione degli animali. Non perché non stia naturalmente dalla parte degli uccellini e contro quegli omacci col fucile che sparano nascosti in un capanno, ma perché qualunque organizzazione mi sta stretta. Ho bisogno di sentirmi libero. E questa libertà è faticosa perché ogni volta, davanti ad una situazione, quando bisogna decidere cosa pensare, cosa fare, si può solo ricorrere alla propria testa, al proprio cuore e non alla facile linea, pronta all’uso, di un partito o alle parole di un testo sacro. Tiziano Terzani

Anhar al-Deek

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Una gravidanza agli sgoccioli. La normale ansia del parto si va a sommare all’angoscia di dover partorire dietro le sbarre di una cella sporca e non ventilata. Le forze di occupazione israeliane si rifiutano di rilasciare la detenuta palestinese Anhar al-Deek, una donna di 25 anni al suo nono mese di gravidanza, e sarà costretta, a detta e volere delle forze di oppressione ed occupazione israeliane, a dare alla luce il suo bambino all'interno della detenzione. La ragazza non ha scelta e le viene negato di partorire in ospedale come un normale essere umano circondata dagli affetti più prossimi. Il suo pancione ha già subito vessazioni fisiche e verbali e la creatura verrà al mondo in carcere senza aver commesso alcun reato. Nascerà prigioniero prima ancora di imparare a respirare e la sua prima boccata d’ossigeno saprà di oppressione. Anhar lancia un appello e scrive una lettera dal carcere nella speranza che il mondo impedisca che una vita nasca in queste condizioni inumane. È gius

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Si fa ancora tanta, troppa fatica a capire, o a farlo capire: Che cosa è l’uomo senza gli animali? Se non ce ne fossero più gli indiani morirebbero di solitudine. Perché qualunque cosa capiti agli animali presto capiterà all’uomo. Tutte le cose sono collegate.  (Capriolo Zoppo, capo della tribù dei Dwamish)

Anche le parole sono nomadi

Pier Paolo Pasolini diceva che, almeno da un punto di vista ipotetico, ci sono cinquantatrè milioni di fascisti in Italia. Gli do perfettamente ragione, perché se una persona, indipendentemente da essere ubriaca o no, arriva a casa, pesta la moglie, picchia il bambino, semplicemente, perché è più nervoso del solito, avendo anche letto quel sociologo Wilhelm Reich, che molti di voi avranno letto. Quindi, spero che qualcuno condivida quel che sto dicendo, che non dico fesserie. Consiglio a tutti di leggerlo. Ci si può rendere conto che il fascismo ha un'origine proprio costituzionalmente individualistica e, quindi, psicologicamente individualistica. Da qui, si può risalire a un fascismo collettivo. Infatti, questo libro di Wilhelm Reich si chiama "La psicologia di massa del fascismo". Quando una persona si sente particolarmente frustrata, così da ubriacarsi sconciatamente per riuscire a superare le proprie frustrazioni, e quando c'è una persona che ci fa sentire o ci fa

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Quando si incamminò aveva un cappello che sembrava uno straccio come il mio… L'uomo che in gioventù aveva girato l'America sui carri merci per cantare le sue canzoni di libertà con una chitarrina tutta di legno che portava una scritta, "questa: Macchina uccide i fascisti”.  Si chiamava Woody Guthrie

La chiamata in Correo

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Questioni ambientali e sarcasmo rancoroso di una generazione che ha fallito Ecco, secondo me qui Smargiassi lo dice bene. Tutto il resto è in gran parte noia e tanto tempo libero da occupare. La chiamata in Correo Circola sui social la sprezzante lettera di un sedicente giornalista australiano ai ragazzi del Friday for Future, anche nella versione di un padre che si rivolge a sua figlia. Li prendono per i fondelli: fate gli ambientalisti puri ma non sapete rinunciare ai vostri cellulari ecc. ecc. Vecchia roba. Sarcasmo rancoroso cinico e disilluso di una generazione (la mia) che ha fallito e non ama ammetterlo. Greta, sia chiaro, è un fenomeno mediatico. Ben costruito. Ma funziona: è uno schema di comunicazione del rischio globale che finalmente ha bucato i media, lo dimostrano reazioni allarmate come questa. Nessun movimento ecologista era riuscito finora a turbare il bla bla bla dell'establishment. Nello schema gandhiano, superato lo stadio "ci ignorano", siamo già al &

Pia Klemp

Pia Klemp, il capitano della nave tedesca che ha salvato i migranti nel Mediterraneo, mentre rifiutava una medaglia del sindaco di Parigi ha detto: "′Non sono qui per umanitarietà. Non sono qui per ‘aiutare’. Io sono per la solidarietà. Noi non abbiamo bisogno di medaglie. Non abbiamo bisogno che le autorità decidano chi è un 'eroe’ e chi è 'illegale’. Infatti non sono nella posizione di fare questa scelta, perché siamo tutti uguali. Ciò di cui abbiamo bisogno sono libertà e diritti. È giunto il momento di svelare l'ipocrisia, onorare e riempire il vuoto con giustizia sociale. È ora di trasformare tutte le medaglie in punte di diamante della rivoluzione Non considero il salvataggio in mare come un’azione umanitaria, ma come parte di una lotta antifascista: Documenti e case popolari per tutti! Libera circolazione e residenza!"

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“Stiamo educando una gioventù all’odio, perché abbiamo perso il senso dei valori, i veri valori della vita li abbiamo persi. In questo momento è una fortuna essere ciechi, non vedere certe facce ributtanti che seminano odio, che seminano vento e raccoglieranno tempesta. Le parole sono pietre, le parole possono trasformarsi in pallottole. Bisogna pesare ogni parola che si dice e soprattutto far cessare questo vento dell’odio, che è veramente atroce, lo si sente palpabile intorno a noi. Ma perché l’altro è diverso da me? L’altro non è altro che me stesso allo specchio”. Andrea Camilleri

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 “L'origine della leggenda che vuole il gatto nero un animale porta sfortuna risale al Medioevo, quando gli uomini si spostavano in carrozza lungo strade completamente buie. Capitava, allora, che i cavalli si spaventassero alla vista dei due occhi gialli dei gatti neri che sbucavano all'improvviso, e che si imbizzarissero provocando degli incidenti anche mortali. Inoltre, intorno al 1200, Papa Gregorio IX associò il gatto nero alle streghe, dando origine ad una spietata caccia sia nei confronti delle donne accusate di stregoneria, sia ai poveri felini. La tradizione popolare, poi, vuole che essi anticipassero l’arrivo dei pirati, in quanto erano soliti salire a bordo delle loro navi e viaggiare con essi per dare la caccia ai topi presenti nella stiva. Da qui si è diffusa l'idea che i gatti neri portassero l'arrivo di una minaccia incombente.” — Dall’articolo "Gatto nero e superstizione: perché si dice che porti sfortuna" di Anna Nascimben

FramMenti

“Si leva da un mare di facce e mi abbraccia, mi abbraccia con passione; mille occhi, nasi, dita, gambe, bottiglie, finestre, borse, piatti, tutti ci fissano e noi uno nelle braccia dell'altro, dimentichi. Mi siedo accanto a lei ed ella parla, un fiume di parole. Frenetici vaneggiamenti di isteria, perversione, lebbra. Non sento una parola, perché lei è bella e io l'amo e ora sono felice e sarei pronto a morire.” — Henry Miller, Tropico del Cancro 

Foibe e revisionismo storico

La destra è riuscita a coinvolgere anche una buona parte della sinistra Il revisionismo storico ha avuto una funzione importantissima in questi ultimi vent'anni nel determinare il cambiamento di orientamento dell'opinione pubblica rispetto ai valori della Resistenza italiana. Con il revisionismo storico si è cercato di trasformare vittime del fascismo e del nazismo in carnefici. Per fare questo si è scelto soprattutto la zona del confine orientale d'Italia, che è stata storicamente una zona molto difficile per i rapporti fra italiani, sloveni e croati, in quanto il fascismo in queste terre è stato una dittatura molto più violenta rispetto a quello che è stato nel resto d'Italia. Un fascismo specificamente razzista, antislavo, che ha portato alla italianizzazione forzata centinaia di migliaia di persone e una repressione etnica. È stato usato il fatto che non si fosse parlato della storia del confine orientale in Italia, in questo dopoguerra, per introdurre, così, nel di

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"Lo Stato, per il suo stesso principio, non può tollerare la federazione libera, che rappresenta una cosa orrenda per l'uomo di legge: uno Stato nello Stato. Lo Stato non può riconoscere un'unione liberamente accettata che funzioni al suo interno; esso non riconosce che sudditi, per cui soltanto lo Stato, insieme alla Chiesa, può accampare il diritto di servire da unione tra gli uomini, Di conseguenza, lo Stato doveva per forza distruggere le città basate sull'unione diretta tra i cittadini: doveva abolire ogni unione nella città, abolire la città stessa, e sostituire infine al principio federativo il principio di sottomissione e di disciplina. È questa la sostanza stessa dello Stato, che senza tale principio cesserebbe di esistere. [...] Lo Stato è la guerra, e le guerre devastano, finendo di distruggere le città che lo Stato non ha distrutto direttamente." Pëtr Kropotkin. Dal libro: "Scienza e anarchia." (cap. Nascita dello Stato). Eléuthera.

Ricordate il caso di Luana d'Orazio?

La giovanissima lavoratrice morì inghiottita da un orditoio in una azienda di Montemurlo. Bene. Si è scoperto che al posto del sistema di protezione che si sarebbe dovuto attivare, per scongiurare la tragedia poi avvenuta, la macchina dove lavorava Luana aveva le ragnatele. Aveva 22 anni, un bambino. Su tutti i giornali la notizia è impazzata con la dicitura:“Risucchiata dall'orditoio”, ma io credo che “risucchiato” non dia l'idea di cosa voglia dire morire masticati vivi fra i rulli di un enorme macchinario infernale. Tutto ciò - ripeto - a 22 anni. E quella di Luana non è l'unica tragedia di questi mesi. C'è anche Andrea Bascherini, un uomo di 54 anni, seppellito dalle lastre di marmo che avrebbe dovuto pulire. C'è Cosimo Tritto, 39 anni, travolto da un carico di mattoni che gli è piombato addosso da una macchina escavatrice, in provincia di Bari C'è anche Antonio Vasto, un operaio di 59 anni precipitato per quattro metri schiantandosi al suolo, nel Napoletano

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“L’utopia sta all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l’orizzonte si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? A questo: serve a camminare.”  (Eduardo Galeano)

La guerra è un inferno

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“LA GUERRA È UN INFERNO” QUESTO SCRIVEVA LARRY SUL SUO ELMETTO. STORIA DI UNA FOTO SIMBOLO DELLA GUERRA DEL VIETNAM Spesso chi parla dei conflitti, passati e presenti, e magari ne auspica altri per il futuro, non ha conosciuto in prima persona la terribile realtà della guerra. Non è mai stato in una trincea, non ha sentito lo scoppio di una granata, non ha visto vittime innocenti morire sotto i bombardamenti. Al contrario molti tra coloro che la guerra l’hanno vissuta veramente e magari ne portano ancora il prezzo sulla propria pelle, la descrivono per quello che è realmente: un inferno. Un inferno di sangue, morte, disillusione. Forse la stessa disillusione che Larry Wayne Chaffin e tanti ragazzi come lui hanno provato durante la propria esperienza di soldati in Vientnam. Questo ragazzo di diciannove anni, già sposato, proveniente da St Louis, come molti altri commilitoni aveva “personalizzato” l’elmetto in dotazione, scrivendo qualcosa su se stesso o su quello che stava vivendo. E co

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 “Era la felicità che avevo inseguito per tutta la vita, senza esser capace neppure di sognarla. L’avevo trovata, e scoperto che cosa fosse. La felicità che mi era sempre stata negata, avevo il diritto di viverla quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti. Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti sì, in ogni caso nessun rimorso.” — (Jules Bonnot)

Ciao Cleo

Io una volta amai una gatta anche lei mi amava e mi dormiva morbida sulla pancia e mi faceva le fusa negli orecchi Ci raccontavamo i segreti e giocavamo sempre assieme Giocavamo all’aereo giocavamo al sentiero di croccantini giocavamo ai cunicoli nel letto giocavamo a nascondarella e ad acchiapparella giocavamo al domatore di leoni giocavamo all’addestratore di cani antidroga giocavamo agli agguati La mattina le preparavo la colazione e la sera l’accoglievo nel mio letto e se non la facevo entrare nella camera lei stava fuori a grattare con le unghie Adorava leccarmi il naso e una volta me lo morse ma non per cattiveria Aveva gli occhi azzurri e una coda lunga e nera profumava tantissimo Spesso mi diceva che dovevo prepararmi che un giorno lei non ci sarebbe stata più io le dicevo che non era vero lei mi diceva che le gatte vivono meno dei bambini io le dicevo che era scema lei mi strofinava il muso sulla fronte Una volta la portai a scuola per farla conoscere ai miei compagni ci diver

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Per non dimenticare “Non vi ingannino i nostri sorrisi, siamo morte tutte. Ci hanno violentato, ammazzato di botte e sparato. Hanno mutilato i nostri corpi, i nostri genitali, e li hanno filmati, ridendo di noi. Eravamo colpevoli perché ribelli, colpevoli perché donne che imbracciano un fucile. Ma eravamo solo ragazze. Abbiamo patito la fame, ricevuto sguardi di incoraggiamento da chi aveva meno di noi, sorriso, pianto, siamo state terrorizzate, abbiamo pensato di potercela fare nell'indifferenza del mondo che ci ammirava ma che non ci ha mai sostenuto.” Paolo Ferrero

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“Tutto ciò accadeva tanto ma tanto tempo fa, in un anno magico quando il petrolio veniva ancora venduto per undici dollari al barile. L'anno in cui mi ritrovai col cuore infranto. In cui persi la verginità. In cui salvai una bella bambina da morte sicura per soffocamento e un vecchiaccio sgradevole da un infarto… o almeno dal primo. L'anno in cui uno psicopatico quasi mi ammazzò in cima a una ruota panoramica. In cui volevo vedere un fantasma e non ce la feci… comunque uno spettro di sicuro si accorse di me. Quello fu anche l'anno in cui imparai a parlare una lingua misteriosa e a ballare l'hokey pokey travestito da cane. E in cui scoprii che esistono cose peggiori di venire scaricato da una ragazza.” — Stephen King, Joyland

Víctor Jara

“Ho trovato il corpo di Víctor in una fila di una settantina di cadaveri. La maggior parte erano giovani e tutti mostravano segni di violenze e di ferite da proiettile. Quello di Víctor era il più contorto. Aveva i pantaloni attorcigliati alle caviglie, la camicia rimboccata, le mutande ridotte a strisce dalle coltellate, il petto nudo pieno di piccoli fori, con un’enorme ferita, una cavità, sul lato destro dell’addome, sul fianco. Le mani pendevano con una strana angolatura e distorte; la testa era piena di sangue e di ematomi. Aveva un’espressione di enorme forza, di sfida, gli occhi aperti”. Aveva quarantuno anni Victor Jara, cantautore cileno, quando venne ucciso. Nato a San Ignacio, nel 1932, la passione per la musica gli viene trasmessa dalla madre Amanda, voce del folclore cileno. Cresciuto in una famiglia povera, costretta più volte a cambiare città per poter tirare avanti, con la scomparsa prematura della madre nel 1947, si trasferisce a Santiago e, assieme alla musica e ai ca

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“Quando saremo due saremo veglia e sonno affonderemo nella stessa polpa come il dente di latte e il suo secondo, saremo due come sono le acque, le dolci e le salate, come i cieli, del giorno e della notte, due come sono i piedi, gli occhi, i reni, come i tempi del battito i colpi del respiro. Quando saremo due non avremo metà saremo un due che non si può dividere con niente. Quando saremo due, nessuno sarà uno, uno sarà l'uguale di nessuno e l'unità consisterà nel due. Quando saremo due cambierà nome pure l'universo diventerà diverso.” — Erri De Luca, Due

L’Asinara, l’isola dei «dannati della terra»

L’Asinara, l’isola dei «dannati della terra», la «Caienna» italiana, da tempo immemore isola-carcere per antonomasia. Adibita a colonia penale nel lontano 1885, da sempre spauracchio per i detenuti riottosi, gli irriducibili, i refrattari alla disciplina, i ribelli, i rivoluzionari, i nemici del Sistema. Non si può capire la vicenda-Asinara senza parlare di Luigi Cardullo, classe ’35, siciliano di Patti (Messina), direttore del carcere tra il 1974 e il 1980. Eloquentemente ribattezzato il «viceré», Cardullo viene ricordato come un sovrano, un uomo al di là di ogni illuministica ragionevolezza: lui stesso con mirabile sprezzo della sobrietà, commentava: «Il mestiere di Dio è sottopagato». Lo ricorda così il fondatore delle Br Renato Curcio: «Una volta mi sfidò ad ucciderlo, in una di quelle sfide psicologiche che, secondo me, lo facevano sentire “uomo”. La jeep in quel momento percorreva un sentiero che sovrastava un dirupo. “Vedi Curcio”, mi disse, “se dai uno strattone allo sterzo pre

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“Attrazione inesorabile: non c’è stupore, né paura, ma la sola consapevolezza di vivere una sensazione inevitabile, benefica. Necessaria. Frugare e godere di quanto ci appartiene. Ritrovare chi si vuole e sentirsi nel posto più intimo e protetto, la propria casa. E sapersi avvinti, stretti, allacciati, senza esserne mai paghi, senza chiedersene il motivo, senza pensare se sia giusto o meno, abbandonandosi, vivendo quel richiamo come la più naturale delle condizioni umane. Non è forse questo l’amore?” — Vladimir Majakovskij

Il mito delle foibe e il giorno del non ricordo

In un post intitolato “fascismo e antifascismo” il mese scorso scrivevo che “chi non distingue non può fare politica”. Parlavo del candidato sindaco di Milano per la destra. Quello che non distingue le persone tra fascisti e antifascisti. Il giorno precedente mi associavo a chi chiedeva le dimissioni di Durigon che vuole intitolare un parco a Arnaldo Mussolini, fratello del dittatore e colonna del fascismo più rigido e pervasivo. Con la nomina di Andrea De Pasquale alla direzione dell’Archivio Centrale dello Stato s’è aggiunto un altro tassello alla strategia di sdoganamento del fascismo. Quest’ultimo non solo è quello che definisce Pino Rauti “uno dei personaggi chiave della Storia della Destra in Italia: organizzatore, pensatore, studioso, giornalista (…) Tanto attivo e creativo, quanto riflessivo e critico”, ma per poco non andava a mettere le mani sui documenti appena desecretati delle stragi neofasciste: quelle per per le quali era stato indagato lo stesso Rauti. Ma la campagna di

Non si riescono a fermare i furti di sabbia in Sardegna

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Nel solo mese di luglio gli agenti dell’agenzia delle dogane e della Guardia di Finanza hanno sequestrato all’aeroporto di Alghero, in Sardegna, un chilo e mezzo di sabbia in bottiglie di plastica, 50 conchiglie, 743 ciottoli di mare, e una roccia pesante quasi un chilo e mezzo. Provenivano dalle spiagge di Is Arutas, nella penisola oristanese del Sinis, molto conosciute per la sabbia fatta da finissimi granelli di quarzo, dalle Saline di Stintino, nel nord ovest della Sardegna, e dalla spiaggia del Lazzaretto di Alghero. Il materiale sequestrato era tutto in trolley e borse dei turisti che lasciavano l’isola. Nella maggior parte dei casi, chi si riempie bottiglie e sacchetti di sabbia della Sardegna – gesto che è punibile con una multa anche piuttosto salata – è un turista che si vuole portare via un souvenir, e che non conosce (o dice di non conoscere) la normativa regionale. In altri casi, meno frequenti, la sabbia prelevata dalle spiagge sarde finisce fotografata e pubblicata sopra

FramMenti

“Cosa hai fatto tu da grande?”. Forse, ogni tanto, bisognerebbe proprio che qualcuno dei bambini che conosciamo, stufi marci di sentirsi chiedere in continuazione “Che cosa vuoi fare da grande?”, ci prendesse in disparte e, senza tanti giri di parole, ci chiedesse: “Ma tu, piuttosto, tu, si può sapere cosa hai fatto tu da grande? Che cosa ne è stato di quel senso di infinito che ti prendeva ogni anno, alla fine della scuola, davanti alla distesa sterminata di un’intera estate? Che cosa ne hai fatto dei tuoi sogni, ma quelli veri, quelli che contano: gli specchi da attraversare, i mondi alla rovescia, i paesi delle meraviglie, i rifugi segreti, gli amici immaginari, i voli, tutte quelle cose che ti stanno dentro, e ti nutrono l’anima, e ti fanno sentire voluto bene da te … Che cosa ne hai fatto, tu, del tuo tempo?” (cit. Lella Costa)

Fabrizio De André, chi sei?

"Io mi sono accorto che, in casa, ero quello che valeva meno di tutti. Mio padre, laureato in Filosofia: una cima, almeno dal mio punto di vista, di ragazzino. Mio fratello, che se prendeva qualcosa al di sotto del trenta e lode, faceva il muso per due giorni. È normale che, in una famiglia del genere, uno, anche perché ci viene allenato, diventi competitivo. Solo che la mia competitività, dal punto di vista di quello che erano gli studi, era una cosa ridicola. Vale a dire: io portavo a casa trionfante un diciotto, e mi guardavano così, un po’ storto. Allora, probabilmente, con la volontà di emergere, ho scelto un’altra strada, che è questa qui della chitarra. Proprio, per volontà di emergere, per dimostrare a me stesso, ma prima di tutto, forse, ai miei genitori, a mio fratello medesimo, che io qualche cosa valevo, al di fuori di quello che era l’iter normale di un figlio di una famiglia appartenente alla piccola borghesia. Cioè, voglio dire, negli anni Sessanta, non era diverten

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“Ho incontrato nella storia, da quando sono nell'età adulta, molti vincitori il cui volto mi appariva ripugnante. Perché vi leggevo l'odio e la solitudine. Perché non erano niente se non erano vincitori e per diventarlo dovevano ammazzare e sottomettere. Ma esiste un'altra razza di uomini che ci aiuta a respirare, che ha sempre posto la propria esistenza e libertà solo nella libertà e nella felicità di tutti, che trova quindi fin nelle sconfitte le ragioni per vivere e per amare. Questi, anche se vinti, non saranno mai soli.” (Albert Camus, filosofo, poeta, drammaturgo, antifascista, nemico di ogni autoritarismo. anarchico,pensatore libero e molto, molto, molto altro ancora.)

Tomaso Serra, detto "il Barba"

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Tomaso Serra, detto "il Barba", nasce a Lanusei (Nuoro) il 23 marzo 1900, ma a causa della professione del padre, operaio delle Ferrovie complementari, sin da bambino è costretto a continui trasferimenti di paese in paese, sino a quando la sua famiglia non si stabilisce definitivamente a Barrali, dove Tomaso negli anni 60 proverà a mettere in pratica un interessante esperimento di autogestione. C'è da aggiungere inoltre che Tomaso era cugino degli anarchici di Gairo Paolo, Enrico e Angelo. L'emigrazione e l'anarchismo Per mantenersi, Serra svolge umili ma dignitose professioni: muratore, contadino ecc., senza che ciò gli impedisca di leggere e studiare da autodidatta. Nonostante il buon lavoro del padre, la sua famiglia non naviga nell'oro e lui, a soli 16 anni, è costretto ad emigrare nel Nord Italia dove viene assunto come operaio nella costruzione di alcune dighe e acquedotti. Nel 1918, terminata l'esperienza nel settentrione, raggiunge la Francia per l

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“Non capiamo gli altri. Forse non abbiamo la pazienza necessaria a farlo. Li giudichiamo frettolosamente, goffamente, ci resta ancora tanto da sapere, così tanto da soffrire e da godere, mentre siamo qui gettati, nel numero, nel tempo, nelle dimensioni, nelle ristrettezze di una mente sola. Dovremmo lavorare di più sull'incertezza, impiegarla a nostro favore, ecco, lavorare per risultati incerti. Se quello che cerchiamo non si manifestasse mai, vorrebbe dire che non esiste o che siamo indegni di trovarlo. E invece, talvolta appare, e la sua stessa rarità cancella ogni equivoco.” — LSC, Edoardo Albinati

Anita

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Una volta, mentre da ragazza tornava dal mare, le si avvicinò un uomo ubriaco e la toccò nel tentativo di violentarla. Lei si girò, gli sferrò un sonoro calcio e poi andò anche a denunciarlo alla gendarmeria. Suscitò scandalo anche quella volta, Anita. Perché era il 1835 e lei doveva “tenere la bocca chiusa”. La guardavano tutti male in paese. Lei che aveva imparato a cavalcare a pelo; che voleva fare la rivoluzionaria e non ne faceva mistero; lei che non solo prendeva a pedate gli uomini che volevano toccarla, ma poi andava anche a denunciarli. Per questo la famiglia, appena lei compì 14 anni, la costrinse a sposare un uomo molto più vecchio di lei. Durò poco. Perché poco tempo dopo in città passò Giuseppe Garibaldi. La guardò, la sentì parlare e rimase fulminato: “devi essere mia”, le disse. E i due si innamorarono e si sposarono. Combatteva con lui, Anita. E quando venne catturata la prima volta dai soldati brasiliani, il comandante, rimasto colpito dal suo temperamento, le concesse

FramMenti

“Fra i momenti migliori che conosco è quando ho appena lasciato un invito, quando sto seduto nella mia macchina, chiudo la porta e inserisco la chiave, apro la radio, accendo una sigaretta con il lighter elettrico, poi innesto la marcia, il piede sull’acceleratore; gli esseri umani mi affaticano, anche gli uomini. Per quel che riguarda il sentimento, non me ne importa niente, come già detto. Qualche volta ci si lascia andare, ma ci si riprende. Fenomeni di stanchezza! Come nell’acciaio. I sentimenti, ho notato, sono fenomeni di stanchezza, nient’altro, per lo meno in me.” — Max Frisch, Homo Faber

Iracondo e violento

IRACONDO, VIOLENTO CON LE DONNE E ONNIPRESENTE NEI BORDELLI. IL DUCE CHE NESSUNO VUOLE RACCONTARE Dalla propaganda fascista Mussolini è sempre stato descritto come padre nobile della Patria, lucido, saggio e soprattutto animato da profondi valori tradizionali. Dopo la caduta del regime molto è stato scritto su di lui, molto anche sulla sua vita privata ma certi dettagli sono stati spesso taciuti o lasciati nella penombra, come se far emergere le contraddizioni tra la il duce uomo e il duce politico fosse qualcosa di sbagliato, di indecente. Noi invece apparteniamo a quel filone di pensiero secondo cui “il personale è politico” e viceversa. I comportamenti di Mussolini infatti non sono da valutare in un’ottica moralista, che chiaramente non ci appartiene, ma come conseguenza delle sue idee e della sua impostazione politica. In particolare il rapporto del Duce con il sesso femminile è sempre stato analizzato secondo un’unica chiave di lettura: Mussolini grande amatore desiderato da migli

FramMenti

“Che cosa sono i morti, poi, se non onde ed energia? Luce che brilla da una stella morta? E al proposito, le seguenti sono frasi di Julian, che rammento da una sua lezione sull’Iliade, là dove Patroclo appare in sogno ad Achille. Si tratta di un passaggio assai commovente: Achille, felice alla vista dell’antico amico, cerca di abbracciarlo, ma l’ombra svanisce. I morti ci appaiono in sogno, disse Julian, perché è l’unico modo in cui possono farsi vedere da noi; e ciò che vediamo è soltanto una proiezione, trasmessa da una grande distanza, luce che brilla da una stella morta…” — Donna Tartt, Dio di illusioni

C’era una volta un re

 C’era una volta un re che disse al suo servo: “raccontami una storia” e il servo incominciò. E cominciò a raccontare di un vescovo americano, predatore sessuale, e di seminaristi abusati, di giovani vittime devastate, di alti prelati complici di coperture. Ma il servo non si risparmiò e accusò anche il re di sapere e di aver fatto finta di non sapere, di aver negato di sapere e di aver cacciato dalla sua corte chi affermava di sapere. C’era una volta un re, acclamato da tanti, troppi, che non governava solo la sua corte ma voleva influenzare la politica dello Stato che ospitava il suo. Tutti lo osannavano e qualcuno lo avrebbe voluto anche come capo del proprio partito, o come Presidente del consiglio, o come Presidente della Repubblica. Ma lui non avrebbe potuto accettare altre cariche perché era già il re dei pedofili. C’era una volta un re che sapeva di essere il re dei pedofili e faceva finta di essere dispiaciuto e andava in giro per il mondo a chiedere scusa, ma poi faceva fare

FramMenti

“Lacrime lacrime non ce n’è mai abbastanza quando vien su la scoglionatura, inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo e manda via il vischioso male, quando ti prende lei la bestia non c’è da fare proprio nulla solo stare ad aspettare un giorno appresso all’altro. E quando viene comincia ad attaccarti la bassa pancia, quindi sale su allo stomaco e lo agita in tremolio di frullatore e dopo diventa ansia che è come un sospiro trattenuto che dice vengo su eppoi non viene mai.” — Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini

Massud

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Massud è un nome pesante, è il nome di un mito, di un leggendario comandante afghano che sconfisse i Sovietici e si oppose fino all'ultimo all'avanzata dei Talebani, fino al giorno in cui due killer suicidi di Al Qaeda lo assassinarono con una bomba nascosta in una telecamera, era il 9 settembre 2001, due giorni prima dell'attacco alle torri gemelle. Oggi questo nome torna a riportare un soffio di speranza in Afghanistan. Ahmad Massud, il figlio del famoso comandante, sta organizzando nella valle del Panshir la resistenza contro i Talebani. Già nella valle sono tornate a sventolare le bandiere dell'alleanza del Nord, l'unica fazione afghana moderata, democratica e filo-occidentale del periodo post sovietico. Sono già migliaia gli uomini che si stanno radunando, portando con sé armi e mezzi, sotto la sua guida. Interi reparti dell'ex esercito afghano e tanti volontari. Quando il padre venne a chiedere aiuto all'Occidente contro i Talebani nessuno lo ascolto’…

FramMenti

“Qualche volta, invece, la cosa più coraggiosa che si può fare è esattamente questa: smettere, mollare. E, soprattutto, smettere con le cose che in teoria bisognerebbe amare, ma che (ormai, segretamente) ci risultano insopportabili. È la great resignation, la grande rinuncia: quella che negli Stati Uniti sta coinvolgendo lavori e matrimoni, social network e abitazioni urbane. Le persone, semplicemente, ripensano alle loro carriere, alle loro condizioni di lavoro, alla propria situazione affettiva, agli obiettivi a lungo termine. E tirano i remi in barca, con l’intenzione di andare alla ricerca di equilibri diversi e migliori.” — Da: La gran voglia di tirare i remi in barca di  Annamaria Testa

A che serve studiare?

«Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: ‘A che serve studiare? Chi sa rispondere?“. Qualcuno osò rispostine educate: "a crescer bene”, “a diventare brave persone”. Niente, scuoteva la testa. Finché disse: “Ad evadere dal carcere”. Ci guardammo stupiti. “L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare. In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?”. Mi è tornato in mente quell’episodio indelebile leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza. Uno Stato democratico deve salvarli perché è giusto. E perché il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l’uomo forte». Mai come oggi attuali le parole di Corrado Augias.

FramMenti

“La stupidità ha fatto progressi enormi. È un sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comunicazione, non è più nemmeno la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé.” (Ennio Flaiano)

Cesare pavese

IN MEMORIA DI CESARE PAVESE, MAESTRO SENZA TEMPO Il 27 agosto 1950 nell'albergo Roma, a Torino, moriva suicida Cesare Pavese. Prima di ingerire i barbiturici che lo uccisero, sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino accanto a lui, aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.» Vogliamo ricordarlo con le parole di Fernanda Pivano, traduttrice, critica, scrittrice, giornalista e soprattutto sua allieva. "Quella sera aveva inghiottito la sua polvere assassina; nessuno di noi gliela aveva tolta dalle mani. Ci ha perdonato, ci ha chiesto perdono. Di che cosa, Pavese? Che cosa le avevo fatto, che cosa mi aveva fatto, che cosa ci aveva fatto dopo aver aiutato decine di scrittori a farsi conoscere, con quel suo viso tragico che aveva dimenticato il sorriso, quella sua vita segreta che non aveva svelato a nessuno, quella sua infinita conoscenza del mondo che non le è bastata per sopportarlo." Poeta, tra

FramMenti

Nessun vicino aveva mai sentito la colonna sonora del terrore, grida, suppliche, l’eco sorda di un corpo che sbatte contro i mobili, le pareti. Tuttavia, tutti hanno sentito almeno una volta parole aspre, taglienti, espressioni di un disprezzo apparentemente banale, domestico, non vali niente, non so come faccio a sopportarti, sei una buona a nulla, una cretina, sembri idiota, mai visto un essere più inutile di te. (Almudena Grandes, I baci sul pane)

Visionarietà

Mangiamo ogni giorno notizie sventurate condite da meschinità di ogni genere. Siamo infarciti come tacchini indigesti da un ripieno di corruzione. Il dibattito pubblico è squallido, ripetitivo allarmante, mai positivo creativo e ribelle. Abbiamo un disperato bisogno di meraviglioso. Un ministero del meraviglioso maestri di meraviglioso a scuola fra il latino e la matematica due ore quotidiane di meraviglioso all’università una facoltà di meraviglioso. Dobbiamo diventare compagni di meraviglie. È il nostro petrolio, l’unica eccellenza il solo prodotto esportabile in tutto il mondo. La fantasia più pragmatica che esista: la nostra visionarietà. Sapere concretizzare i sogni. Un vento portatore di entusiasmo incantato deve irrompere nelle nostre città sventrate dalle sciocchezze ingorde del denaro disintossicare l’aria appesantita da una banalità soffocante liberarci da briganti e oracoli di mezza tacca trasformare questa peste del nulla con un contagio poetico e illuminato restituire agli

FramMenti

La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell'immaginare, progettare e attuare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino al completo abbandono di questi metodi. La guerra, come le malattie mortali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente. L'abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione. Possiamo chiamarla "utopia", visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento. Gino Strada, nel 2015

FramMenti

«La filosofia, che, come osservano Platone e Aristotele, trae origine da un sentimento di meraviglia, è in grado di rappresentare una qualsiasi cosa in maniera diversa da ciò che è. Mostra quello che ci è familiare come se fosse estraneo e ciò che ci è estraneo come se fosse familiare. È in grado di elevare al massimo le cose e riportarle nuovamente a terra. La sua vivacità mentale le rende possibile affrontare qualsiasi tipo di argomento. Ci può svegliare dallo stato di “sonno dogmatico” in cui ci troviamo sin dalla nascita ed eradicare i nostri pregiudizi più consolidati». William James

Vecchio errore

Un vecchio errore vuole inseguirmi e incatenarmi e trascinarmi lì davanti ad ogni specchio per dirmi: guardati io non mi guardo, giro lo sguardo la so a memoria fin troppo questa storia è uguale che non ci sia o che ci sia ci provi lo specchio a inghiottire nell'apparenza l' orgoglio - è quello che voglio - della mia assenza vedi, ho pagato già il mio soldo di verità un vecchio errore pagato caro, un gesto avaro, avevo il cuore duro allora ero più amaro ero più giovane niente di niente spiega alla gente cosa vuol dire, cosa vuol dire amare l'amore, senza mai fare neanche un errore ci provi lo specchio a inghiottire nella sua acqua cupa non l'apparenza, ma il volto che l'assenza, sciupa vedi, vedi ho pagato già mio soldo di verità un vecchio errore pagato caro, e un gesto avaro, avevo il cuore duro allora ero più amaro ero più giovane niente di niente spiegalo alla gente cosa vuol dire, cosa vuol dire amare l' amore, senza mai fare neanche un errore. Paolo Conte

Democrazia USA

Qualcuno si meraviglia esistano persone convinte che gli Stati Uniti sono la prima minaccia del mondo per la pace. E ci sono ancora alcuni nord americani che fanno ancora la domanda: “Perché tutte queste persone nel mondo ci odiano?” La risposta della propaganda USA è sempre, invariabilmente, la stessa “…perché sono gelosi di noi, della nostra libertà, della nostra grandezza. Gelosi della nostra cultura…” Ecco, soprattutto della loro cultura e del loro squisito modo di rapportarsi col prossimo. Ma dal 1945 gli Usa non hanno vinto nessuna guerra, però imperterriti hanno continuato ad “esportare la democrazia”…per come la vedono loro. 1946 - USA occupano Filippine e Corea del Sud 1947 - le forze di terra americana in Grecia nella guerra civile 1948 - 1949 - Nessuna guerra 1950 - 1953 - Guerra di Corea 1954 - Guerra in Guatemala 1955 - 1958 - guerra del Vietnam 1959 - guerra del Vietnam: Conflitto in Haiti 1960 - guerra del Vietnam 1961 - 1964 - guerra del Vietnam 1965 - Guerra del Vietna

FramMenti

“Ritengo che la mancanza di atteggiamento critico nei confronti del cibo che mangiamo mostri chiaramente la misura in cui la riduzione a merce è diventata la modalità principale attraverso la quale percepiamo il mondo. Non andiamo oltre quello che Marx chiama il valore di scambio della merce – non pensiamo alle relazioni che quell’oggetto racchiude in sé, e sono state importanti per la produzione di quell’oggetto, che si tratti del nostro cibo o dei vestiti o degli iPad, o tutti gli oggetti che utilizziamo per formarci presso un’istituzione come questa. Sviluppare l’abitudine di immaginare le relazioni umane e non umane nascoste dietro tutti gli oggetti che costituiscono il nostro ambiente sarebbe davvero rivoluzionario.” (Angela Davis)

Scuola delle Americhe

STORIA DELLA "SCUOLA DELLE AMERICHE" L'ISTITUTO DI FORT BENNING ANCORA OPERATIVO DOVE L'ESERCITO DEGLI STATI UNITI HA ADDESTRATO I PEGGIORI CRIMINALI POLITICI LATINOAMERICANI Questa storia inizia con una strage. A El Salvador la chiamano la strage dei gesuiti, perché ad essere uccisi furono sei ecclesiastici appartenenti a quest'ordine, una loro collaboratrice e sua figlia. Siamo nel novembre del 1989 e in questo piccolo paese del centro-america infuria una sanguinosa guerra civile. Da una parte il governo autoritario sostenuto dagli Stati Uniti, dall'altra i guerriglieri del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale. In mezzo i gesuiti dell'Università centro-americana di El Salvador. Teologi, sociologi, semplici missionari che cercano di mediare la pace per evitare altre sofferenze ai civili. Il loro ruolo è d'intralcio a tutti coloro che vogliono che la guerra continui. In primo luogo alle milizie del battaglione antiguerriglia Atlacatl, un

FramMenti

 "Ogni volta che arrivi a un bivio il tuo corpo cede, perché il tuo corpo ha sempre saputo quello che la tua mente non sa, e benché scelga di cedere, sia per mononucleosi o per gastrite o per attacchi di panico, il tuo corpo ha sempre sostenuto in gran parte il peso delle tue paure e delle tue battaglie interiori, incassando i colpi a cui la tua mente non vuole o non può reggere." - "Diario d'inverno" - Paul Auster

La vita di ogni giorno

“Oggi sappiamo che l’universo è infinitamente esteso ed è composto di un numero potenzialmente infinito di sistemi solari simili al nostro. Sappiamo anche che è sprovvisto di un centro. Tutto ciò sottrae alla Terra e all’umano il ruolo privilegiato che l’antropocentrismo e la filosofia antica e medievale hanno attribuito loro. L’universo è una metafora: gli infiniti mondi sono intorno a noi anche su questo pianeta. Gli infiniti mondi sono, fuor di metafora, le altre forme di vita. La filosofia contemporanea è una questione di vita in periferia. Siamo coscienti del nostro ruolo marginale e abbiamo capito che l’ecologia è molto piú importante della nostra metafisica. Allora, in che modo possiamo organizzare il futuro? Torniamo al mistero della socialità di Homo Sapiens. Il nostro mondo è regolato e regolabile e segue un movimento che abbiamo definito «a stormo», che in fondo ci risulta ancora parzialmente oscuro. In questo continuo e perpetuo agire di tutti all’interno dello spazio comun

FramMenti

"Verrà un giorno più puro degli altri: scoppierà la pace sulla terra come un sole di cristallo. Una luce nuova avvolgerà le cose. Gli uomini canteranno per le strade ormai liberi dalla morte menzognera. Il frumento crescerà sui resti delle armi distrutte e nessuno verserà il sangue del fratello. Il mondo allora apparterrà alle fonti e alle spighe che imporranno il loro impero di abbondanza e freschezza senza frontiere."   (Jorge Carrera Andrade)

FramMenti

Penso sia per questo che le persone ricche hanno sempre l’aria di chi è stato appena scopato con un dildo fatto su misura, mentre qualcun altro gli stirava le lenzuola fresche nella stanza accanto. È per la stessa ragione che i loro figli sono meno brutti, perché possono permetterseli davvero, perché quei bambini sanno di avere il diritto di esserci. Credo sia così che funziona il rango. Un cazzo ebreo  (Katharina Volckmer)

Miti

«Oggi viviamo nell’età della tecnica. Per garantirsi funzionalità ed efficienza, qualsiasi apparato tecnico mal sopporta quegli “inconvenienti umani” che sono la stanchezza, la depressione, gli amori con il loro corredo di esaltazione e disperazione, la malattia, la maternità e in generale tutti quegli aspetti del mondo della vita che confliggono con la regolarità, l’impersonalità e l’efficienza di un perfetto funzionamento cui è stata assegnata quella deprecabile denominazione che è “professionalità”, sotto la quale ciò che si nasconde è la radicale riduzione dell’uomo alla sua “funzione”. Ad annullare le differenze residue, in cui gli uomini possono reperire un briciolo della loro individualità, provvede la tecnica della comunicazione che, con la radio, la televisione, produce quei comportamenti all’insegna del conformismo per cui, come già avvertiva Nietzsche, “quando tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali, chi pensa diversamente va da sé in manicomio”» Umberto Galimberti,

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