Víctor Jara

“Ho trovato il corpo di Víctor in una fila di una settantina di cadaveri. La maggior parte erano giovani e tutti mostravano segni di violenze e di ferite da proiettile. Quello di Víctor era il più contorto. Aveva i pantaloni attorcigliati alle caviglie, la camicia rimboccata, le mutande ridotte a strisce dalle coltellate, il petto nudo pieno di piccoli fori, con un’enorme ferita, una cavità, sul lato destro dell’addome, sul fianco. Le mani pendevano con una strana angolatura e distorte; la testa era piena di sangue e di ematomi. Aveva un’espressione di enorme forza, di sfida, gli occhi aperti”.

Aveva quarantuno anni Victor Jara, cantautore cileno, quando venne ucciso. Nato a San Ignacio, nel 1932, la passione per la musica gli viene trasmessa dalla madre Amanda, voce del folclore cileno. Cresciuto in una famiglia povera, costretta più volte a cambiare città per poter tirare avanti, con la scomparsa prematura della madre nel 1947, si trasferisce a Santiago e, assieme alla musica e ai canti, scopre anche l’amore per il teatro, recitando e dirigendo egli stesso numerose rappresentazioni. Nel frattempo, diventa un importante militante del Partito Comunista Cileno: le sue stesse canzoni diventano presto un manifesto per la lotta di classe, la difesa dei più deboli, una denuncia contro ogni dittatura e ogni fascismo.

Membro della Nueva Cancion Cilena, un movimento culturale e musicale improntato alla riscoperta del folclore popolare, l’11 settembre 1973, giorno del golpe dei generali agli ordini di Pinochet, Victor è all’università. Tratto in arresto, il suo destino è simile a quello degli altri desaparecidos cileni: condotto, dopo essere stato rapito, all’interno dello stadio di Santiago del Cile, il corpo senza vita del cantante-militante venne rinvenuto per strada, con evidenti segni di tortura su tutto il corpo, raggiunto da oltre quaranta colpi d’arma da fuoco e finito con un colpo alla testa.

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