Il mito delle foibe e il giorno del non ricordo

In un post intitolato “fascismo e antifascismo” il mese scorso scrivevo che “chi non distingue non può fare politica”.

Parlavo del candidato sindaco di Milano per la destra. Quello che non distingue le persone tra fascisti e antifascisti. Il giorno precedente mi associavo a chi chiedeva le dimissioni di Durigon che vuole intitolare un parco a Arnaldo Mussolini, fratello del dittatore e colonna del fascismo più rigido e pervasivo.

Con la nomina di Andrea De Pasquale alla direzione dell’Archivio Centrale dello Stato s’è aggiunto un altro tassello alla strategia di sdoganamento del fascismo. Quest’ultimo non solo è quello che definisce Pino Rauti “uno dei personaggi chiave della Storia della Destra in Italia: organizzatore, pensatore, studioso, giornalista (…) Tanto attivo e creativo, quanto riflessivo e critico”, ma per poco non andava a mettere le mani sui documenti appena desecretati delle stragi neofasciste: quelle per per le quali era stato indagato lo stesso Rauti.

Ma la campagna di sdoganamento continua. E chiaramente finisce per aggrapparsi al mito delle foibe. E quando Tomaso Montanari cerca di riportare il discorso all’interno della storiografia, i cecchini si scatenano.

Il Secolo D’Italia chiama “fake news” le dichiarazioni di Tomaso Montanari sulle foibe. Lo chiama addirittura “negazionista delle foibe”.

Marcello Veneziani parla delle foibe come il “capitolo italiano del libro nero del comunismo” e tira furi dal vocabolario una bella parola che non c’entra niente: dimenticazionismo.

Il candidato sindaco della destra, Michetti, se ne esce con la solita battuta per tutte le stagioni: “non esiste sofferenza di serie a e di serie b”.

E aggiunge che “A Roma il ricordo è ben vivido”.

Ma di cosa? Delle foibe?

Caro candidato sindaco, a Roma forse è vivido il ricordo dell’occupazione nazifascista, il carcere di via Tasso dove torturavano gli antifascisti e più di ogni altro l’eccidio delle Ardeatine.

Ci faccia il piacere di non dire fregnacce.

Se diventerà sindaco si occupi delle buche e della monnezza e le faremo un monumento!

Sorvolo sulle parole dell’ex pugile Benvenuti. Dice che “non credo che a simili tragedie si possa dare un peso e una misura. Un eccidio è un eccidio, non mi metto a contare le vittime”. Infatti gli storici (e i giornalisti seri) servono anche a questo. Studiano, verificano e si occupano di numeri, storie, contesti.

Io direi che sarebbe il caso di tornare nei limiti della decenza. Gli storici (non qualche giornalista, pugile o casalinga di Voghera) hanno sempre parlato della foibe. Nessuno ha nascosto questa storia. Casomai sono stati salvati dai processi un migliaio di criminali italiani che in Jugoslavia hanno fatto stragi.

Delle foibe ne hanno scritto gli storici. Bisogna leggerli per saperlo, ovviamente, non basta guardare Bruno Vespa, leggere Sallusti o sintonizzarsi su Radio Radio.

La parola “foiba” deriva dal latino fovea. Così vengono chiamati gli inghiottitoi naturali tipici delle aree carsiche. Sta scritto sulla Treccani.

E un certo numero di cadaveri sono stati occultati facendoli sparire in quelle cavità per il semplice motivo che il terreno è difficile da scavare e l’operazione era più semplice da risolvere in quella maniera. Rubo le parole allo storico Raoul Pupo che interviene e dice che quando vediamo scritta questa parola la traduciamo con “stragi”. Si tratta di due episodi avvenuti nell’autunno del ’43 e nella primavera del ’45 in corrispondenza dell’8 settembre e della fine della guerra.

“Se da qualche parte leggete 10mila morti, no, è un’esagerazione. Se leggete 2000, no, sono troppo pochi. Qualcosa di intermedio: tre, quattromila. Queste sono le dimensioni della strage”

Malauguratamente il Parlamento ha scelto il 10 febbraio per ricordare questi morti. L’ha fatto in nome di una superficiale idea di rappacificazione, forse. Ma è subito sembrata una maniera per portare nella storia la teoria degli opposti estremismi. Il nome della giornata ricalca quello attribuito al 27 gennaio (Giornata della Memoria) e anche il periodo è lo stesso.

In più mezzo mondo il 10 febbraio ricorda un’altro avvenimento: la firma del trattato di Parigi. Una data che ai fascisti non piace per niente. Quel giorno ricorda agli abitanti del pianeta che l’Italia è stata la principale artefice, insieme alla Germania, della morte di milioni di persone. Altro che italiani brava gente!

E ai fascisti piace ancor meno perché l’unica nota positiva di quei macabri anni è data dalla lotta dei partigiani che in gran parte (non tutti) erano comunisti.

Tra cinque mesi sarà febbraio. Forse per quest’anno non facciamo in tempo, ma non sarebbe il caso di cancellare dalle celebrazioni nazionali questo bizzarro Giorno del Ricordo?

Ascanio Celestini

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