La montagna è donna

Ieri, in quello che forse è stato l'ultimo scampolo d'inverno, ho inforcato la bicicletta per vedere tradotta in neve la pioggia delle basse quote.Nonostante le nuvole fossero saldamente aggrappate alle montagne, nascondendole alla vista, dal Pedemonte era chiaro che lassù avesse fatto neve. Lo si percepiva dall'aria, dalla sua fresca limpidezza e dal suo profumo delicato. Bianco.Avevo da poco superato Bassano quando i nembi hanno iniziato a sfilacciarsi, offrendo alla vista ciò che fino a poco prima era riservato all'olfatto. Gli spalti del Monte Grappa scendevano bianchi verso la pianura, dilatando le forme, offrendo al massiccio una veste pulita.
Ero in procinto di infilare la prima rampa dell'eterna salita che accompagna fino alla vetta, fino al Sacrario Militare, quando ho incrociato due signori molto anziani, marito e moglie, accompagnati da un cane ancora più anziano. Stavano passeggiando lungo la strada.Non appena sono giunto a tiro di voce lei mi fa, con un tono tra l'incoraggiante e il canzonatorio: "Forza che presto sei sulla Grapa!
"Durante i 27 chilometri che si snodano tra le gobbe della montagna ho pensato a più riprese al bizzarro incitamento. Un po' perché quel "presto" si è tradotto in quasi 3 ore, ma soprattutto per il modo in cui era stato chiamato il Monte Grappa: "La Grapa", al femminile e con una sola "p". A quel punto la mente è tornata al passaggio di un bel libro di Paolo Malaguti, che ho letto la scorsa estate, dedicato proprio a questa montagna. "Per una vita intera la Grapa era stata donna, e nessuno aveva avuto niente da ridire - ma dopo la prima Guerra mondiale - (...) il Grappa non poteva che essere maschio, come maschio e virile era stato il supremo sacrificio dei tanti eroi che avevano battezzato quel monte con il proprio sangue".
Sulla vetta, come scrivevo, sorge un imponente sacrario militare, inaugurato nel '35 per offrire un abito monumentale alle nefandezze della guerra. Per realizzarlo furono spianate le curve sommitali della montagna. "La montagna è donna finché resta fertile - prosegue il libro - finché i suoi pascoli danno erba nuova e nuovi fiori anno dopo anno. Lassù, su quella che un tempo era stata la sua cima, erba non ne sarebbe più cresciuta. Era diventato quello che avevano cercato e voluto dalla guerra in poi. Il monte, il simbolo del popolo vittorioso, il sarcofago dei guerrieri morti nel fuoco e nel ferro".

di Pietro Lacasella


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