La spina del fianco

Forse la solitudine è solo un pensiero raffinato. Uno sgorgo d’acqua gelida, che bacia un fiume di lava fumante.
Forse la solitudine è solo un’invenzione degli uomini soli. Un dramma che si consuma dentro di essi, e non si apre agli altri.
Forse la solitudine è uno stile di vita. Come il buddismo. Come la poesia.
Come le Catene. Soffi di vento guidati dall’odio, cere di uomini storici sempre morti.
Fili di miele appassiti, che contraggono e poi castigano. Lacci di scarpe consumate, che diventano sgambetto. Corde emostatiche che bloccano il cuore. Tracce di sangue e di nasi rotti, di sentimenti tumefatti. Cime di navi mai salpate, nodi di addii e di amori, mai iniziati.
Non c’è storia e non c’è gloria. Non c’è dramma. Non c’è dolore, per gli uomini soli.
Non c’è neanche il pensiero di un salto un po’ più in là, neppure il ricordo di un sogno.
C’è solo un sorrisetto beffardo e malinconico. C’è solo autocommiserazione.

Gabriel guardava il mare notturno e sbatteva gli occhi agitati, pensando. La sabbia s’infittiva e raggelava sotto i suoi piedi. C’erano tracce di uomini mai visti e di animali poco chiari.
Michael era uno strano gatto dalle macchie rosa. Giocava sempre con i bidoni più vecchi, quelli più sporchi.
Eppure era tanto grazioso, era un artista. Spesso indossava un cappellino rosso e verde, che gli conferiva un non so che di francese. Era vivo e brillante. Era felice. Parlava con tutti, sorrideva a tutti. Non graffiava nessuno, aveva quasi dimenticato come usare gli artigli. Compiva salti incredibili e impallidivano anche i topi più audaci.
Le sue macule rosa erano il frutto di un artefatto creativo di rara bellezza. Si dice che abbia usato una tecnica innovativa, che aveva domato due cani feroci che gli avevano regalato quelle magnifiche macchie rosa.

Posso farcela. Posso diventare suo amico, mi ripetevo. Devo togliermi di dosso questa malattia. Tutti volevano guarirmi, nessuno voleva parlarmi.
Ma Michael sì, lui poteva farlo. L’amico che non ho mai avuto, lui poteva esserlo. Poteva essere il fratello che non ho mai trovato. Michael sì, poteva esserlo.

Gabriel si avvicinò con insolita agilità al bidone più vecchio di tutti, con le maniglie arrugginite e un coperchio che non copriva. Michael era drizzato sul margine di ferro, in equilibrio perfetto.

– Ciao Michael, so…son… sono Gabriel… vuoi-essere-mio-amico-ora-e-per-sempre?

Ce l’avevo fatta. Ero uscito allo scoperto. Il guscio era rotto. Finalmente avrò l’amico della mia vita. Finalmente un sogno da condividere.
Finalment…Finalmen…Finalme…
Michael non rispose.
Non aveva pronunciato una sola parola, una sola sillaba.
Michael non rispose. Era lì, immobile, statuario.
Né un cenno, né un saluto.
E io me ne andai.

Shantal, invece, lei sì che era una topolina graziosa. Aveva un fiocco rosa che le sfiorava il pelo bianco e soffice come una nuvola di passaggio, di quelle che ti colpiscono per un attimo e poi spariscono all’improvviso. Strofinava spesso le zampette l’una nell’altra e poi per terra. Sembrava potesse danzare, in ogni dove, in ogni quando.
Sembrava l’amore.
Mi avvicinai a lei. Stavolta potevo farcela. Il mio cuore poteva accogliere ancora amore. Poteva accogliere persino le grida dei porci, di tutti quelli che mi guardavano e ridevano, o piangevano.
Potevo farcela.

– Ciao Shantal, il mio cuo…il mio cuor… il mio cuore batte solo per te! Vuoi-essere-mia-amata-ora-e-per-sempre?

Ce l’avevo fatta! Era il momento, finalmente! Qualcuno d’amare!

Ma Shantal non rispose.
Rimase immobile, impassibile. Le zampette smisero di muoversi così freneticamente.
Era come imbalsamata dalla vergogna. Mi guardava e mi disprezzava, già mi odiava.
E io, me ne andai.

– Forse tu mi comprendi, oh mare notturno.

Il povero Gabriel il porcospino se ne tornò nella tana strisciando sulla sabbia gelida, lontano da quell’oceano di disprezzo.
Michael e Shantal giacevano immobili e inerti incastrati sulle sue spine argute e penetranti.
Perdevano sangue e crepavano, lentamente.

Il mare notturno, neanche lui, rispose.

Mirko Palombella

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