Il prete

Giorni grami, quelli di una volta, quando il freddo, da novembre a febbraio (e a volte prima e oltre), si faceva sentire. Oggi giriamo di stanza in stanza e, miracolo, sono tutte egualmente riscaldate. Un tempo, invece, solo pochi fortunati avevano il termosifone, gli altri dovevano arrangiarsi. Forse la gente era più temprata, forse anche in casa ci si copriva di più, ma di solito ci si accontentava, per il riscaldamento, di qualche stufa a cassettoni di cotto sovrapposti (storiche le Bacchi da Forlì), o della famosa cucina economica.
Era questa una geniale invenzione progettata in Inghilterra nella prima metà dell'Ottocento. Costruita in ghisa, acciaio e terra refrattaria, era alta ottanta centimetri e aveva una piastra di cottura di centocinquanta centimetri di lunghezza per settanta di profondità. Al centro della piastra di ghisa una serie di cerchi concentrici estraibili permetteva l'inserimento di pentole di diverse dimensioni per farle arrivare a diretto contatto con la fiamma. A lato, una caldaietta estraibile riempita d'acqua forniva l'acqua calda per lavare i piatti e, volendo, anche per fare il famoso bagno del sabato pomeriggio, in regolare tinozza di legno.
Due gli accessori: una spranghetta di ferro di una cinquantina di centimetri con la quale si potevano rimuovere i cerchi senza scottarsi, e un mestolo dalla curiosa forma ovoidale per rimestare nella caldaia che era foggiata a parallelepipedo.
Nel corpo della stufa si aprivano diversi sportelli: uno per la legna o il carbone, e uno, più piccolo, sottostante, per la cenere. Di fianco uno sportello più grande apriva il grande vano del forno, e sul tubo della stufa che si infilava nel buco della canna fumaria era posto uno stendiabiti a raggiera fatto di stecche metalliche che si alzavano e si abbassavano alla bisogna. Il tubo, per non farlo arrugginire, era spesso verniciato di porporina argentata che, scaldandosi, riempiva la casa di un discutibile odore.
Ricordi di pomeriggi di noia alle prese coi compiti delle elementari e il vapore acqueo che si stampava sui vetri delle finestre grondando tutte le intelaiature.
Il tutto risultava geniale. La stufa economica forniva calore, e dava la possibilità di cucinare e di avere spesso una provvista di acqua calda. La famiglia le si radunava intorno, e mi si dice che la cottura di una vivanda avvenga molto meglio sulla stufa economica che sul gas.
Ma come tutte le stufe, anche questa aveva il difetto che bisognava sempre riempirla di carburante. Durante la notte, naturalmente, ciò non avveniva e la casa tornava a precipitare nel gelo.
Poi c'era, in alcune case, anche il camino. Calore ne faceva, e tanto; peccato lo facesse solo di fronte, ti bruciava davanti e dietro gelavi. A un metro di distanza il tepore poi scemava: al di là della notte di Natale, nella quale era bello e poetico sedere vicino al camino a vedere ardere il famoso ciocco (cantando magari gighe e carole ovviamente natalizie, come negli ingannevoli romanzi di Dickens), ci voleva l'eventuale assistenza della stufa economica per stare caldi in tutto l'ambiente. E anche il camino, se non lo si rifocillava di legna, era destinato presto a languire con qualche brace guizzante sotto la cenere e a morire.
Le stanze da letto non erano mai, dico mai, riscaldate. C'erano notti in cui la temperatura scendeva violentemente sotto zero e alla mattina i vetri erano zigrinati dal vapore dei fiati che si ghiacciava sulle finestre e, per chi non aveva l'impianto idraulico, in camera gelava pure l'acqua delle brocche.
Anche il letto era gelato, le lenzuola cariche di fredda umidità, nonostante i pesanti "coltroni" imbottiti di lana e le altrettanto pesanti coperte.
Ma c'era il sistema per renderle umanamente accettabili e tiepide: il prete.
Nome questo dovuto a un malizioso sentimento popolare (era un attrezzo che si infilavi nei letti), consisteva in un trabiccolo di legno a forma ovoidale: stecche ricurve lo foggiavano, e al centro, nella parte inferiore, aveva un ripiano di legno foderato di latta. Lì si ponevano lo scaldino di terracotta o una bacinella di ferro, che venivano riempiti di ceneri e braci e indi sistemati nel letto, col prete, a un'ora acconcia.
Al momento di andare a dormire, dopo essersi spogliati alla maggior velocità possibile nel gelo della stanza (momenti drammatici, ma più drammatici la mattina dopo), ci si cacciava sotto le coltri e si trovava così il letto tiepido e le lenzuola asciutte e calde.
C'erano altri piccoli espedienti, soprattutto per scaldare la parte terminale del letto, regno dei piedi, difficilmente raggiungibile dal calore delle braci. Oltre alla normale borsa dell'acqua calda, si usava un mattone, per esempio, arroventato alle fiamme del camino e avvolto in una custodia di stoffa, o, udite udite, una bossolo da cannone 105/22 (ricordo di guerra) saldato in bocca con chiusura a vite e riempito con l'acqua bollente della caldaietta dell'economica. Anche questo, ovviamente, avvolto in stoffa protettiva.
Dimenticavo c'era un altro attrezzo come il prete, un aggeggio semisferico di stecche, alla cui sommità pendeva un gancio a cui si appendeva lo scalino.
Veniva chiamato suora.

Francesco Guccini

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