Lettera a Michel Pol
Lei mi chiede delle mie idee su Aspettando Godot, di cui mi fate l'onore di donare alcuni estratti al Club d'essai, e allo stesso tempo delle mie idee sul teatro. lo non ho alcuna idea sul teatro, non lo conosco affatto, non ci vado. Questo è ammissibile. Ma ciò che lo è indubbiamente meno, in queste condizioni, è soprattutto il fatto di scrivere un'opera teatrale e subito dopo averlo fatto non avere delle idee neanche su di essa. Questo, purtroppo, è il mio caso. Non è dato a tutti di poter passare dal mondo che si apre sotto la pagina a quello dei guadagni e delle perdite per poi ritornarvi nuovamente, imperturbabile, come se si passasse dal lavoro al Café du Commerce. Su quest'opera non so niente di più di chi riesce a leggerla con attenzione. Non so in quale spirito io l'abbia scritta. Sui personaggi non so niente più che ciò che dicono, ciò che fanno o ciò che accade loro. Del loro aspetto ho dovuto indicare il poco che sono riuscito a intravedere. Le bombette, ad esempio. Non so chi sia Godot. Soprattutto non so neanche se esista. Cosi come non so se ci credano o meno i due che lo aspettano. I due altri che passano verso la fine di ciascuno dei due atti, sono necessari a rompere la monotoni. Tutto ciò che sono riuscito a sapere l'ho mostrato. Non è molto, ma mi è sufficiente, abbondantemente sufficiente. Oserei anche dire che mi sarei accontentato di meno. Riguardo al voler trovare a tutto ciò un senso più ampio e più elevato, da portare con sé dopo lo spettacolo insieme al programma e i cremini, sono incapace di trovarvi alcun interesse, anche se ciò deve essere possibile. Non sono più lì e non ci sarò mai più. Estragon, Vladimir, Pozzo, Lucky, il loro tempo e il loro spazio, ho potuto conoscerli solo un po', il che è molto lontano dal comprendere. Forse vi devono render conto di qualcosa: che se la sbrighino senza di me, io e loro siamo pari.
Samuel Beckett
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