Lavoro ombra
Il vernacolo si diffonde con il suo uso pratico; viene appreso da persone che pensano ciò che dicono e dicono ciò che pensano a coloro con cui hanno a che fare nel contesto della vita quotidiana. Non così avviene col linguaggio insegnato. Colui dal quale lo apprendo non è una persona per cui provo simpatia o antipatia, bensì un insegnante professionista. Il modello della lingua corrente insegnata non è un individuo che dice ciò che pensa, bensì uno che recita cose inventate da altri. In questo senso un venditore ambulante che decanta i pregi della propria merce con un linguaggio rituale non è un parlatore professionista, mentre ne sono i prototipi l’araldo del re o il comico che si esibisce alla televisione. La lingua insegnata è quella dell’annunciatore che si attiene a un testo imposto a un redattore da un pubblicista al quale un consiglio d’amministrazione ha chiarito ciò che bisognava dire. La lingua insegnata è la morta, impersonale retorica di persone pagate per declamare, con finta convinzione, testi compilati da altri, a loro volta di solito pagati soltanto per mettere assieme i testi stessi. Coloro che parlano codesta lingua insegnata imitano l’annunciatore del telegiornale, l’autore di sketch comici, l’insegnante che espone il contenuto del manuale seguendo un filo conduttore, il cantante di versi pre-scritti [...]. È un linguaggio implicitamente menzognero allorché me ne servo per dire pubblicamente qualcosa a un altro, perché destinato allo spettatore che assiste alla scena. È il linguaggio della farsa, non del teatro; del gigione, non del vero artista. Il linguaggio dei media si rivolge sempre a quel determinato tipo di pubblico che l’inserzionista vuol raggiungere, e raggiungere esattamente. Mentre il vernacolo è generato in me dal rapporto tra persone complete, impegnate nella conversazione, la lingua insegnata è in sintonia con altoparlanti che hanno il compito di chiacchierare a vuoto.
Ivan Illich, Lavoro ombra, trad. It. di Francesco Saba Sardi, Mondadori, 1985
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