Così nasce l’intreccio tra mafie e destra

I delitti eccellenti di mafia, così come le stragi compiute fuori dalla Sicilia, presentano una singolarità tutta da decifrare. Innanzitutto, vengono commessi solo a partire dal 1971, con l’uccisione del magistrato Pietro Scaglione, a quasi 80 anni di distanza dall’ultimo delitto eccellente nell’isola, quello di Emanuele Notarbartolo nel 1893, ex sindaco di Palermo e direttore del Banco di Sicilia, su mandato del parlamentare Raffaele Palizzolo.

Certo, c’erano già stati numerosi delitti di sindaci, sindacalisti, commercianti, professionisti, ma dal 1971 in poi si scatenerà una vera e propria “guerra” ai rappresentanti delle istituzioni. Per quasi 80 anni neanche un delitto eccellente, e poi in un ventennio (1971-1992) avviene il più massiccio assalto ai rappresentanti delle istituzioni mai verificatosi in Europa, se non sotto il nazismo. È del tutto razionale pensare che si siano inseriti elementi esterni in questo cambiamento di percorso.

Nello stesso periodo cominciano i delitti di magistrati da parte dei terroristi rossi e neri. Tra il 1971 e il 1992 vengono ammazzati dalle mafie 14 magistrati, mentre ne vengono uccisi 12 dai terroristi di estrema sinistra e di estrema destra. Contemporaneamente vengono ammazzati anche diversi rappresentanti delle forze dell’ordine, a seguito di scontri armati o in agguati individuali. Comuni sono i bersagli, le modalità, il periodo storico.

Tuttavia, mentre i magistrati e gli appartenenti alle forze di sicurezza rappresentano bersagli tradizionali dei terroristi in ogni parte del mondo, in Sicilia esisteva un patto esplicito per garantire l’impunità ai mafiosi: giudici, poliziotti e carabinieri non dovevano essere toccati.

Anche l’uso di esplosivi e non solo di armi tradizionali lascia intravedere comuni rifornimenti. Ed è difficile immaginare che lo spostamento di tale materiale passi inosservato agli apparati di sicurezza. In ogni caso, l’impiego di bombe è una modalità d’azione che le mafie copiano dai neofascisti. Come mai si verifica questo cambio radicale di strategia? Lo stragismo è una modalità d’azione in netta controtendenza con tutta la storia della mafia. Il fatto che improvvisamente si scelga di commettere degli attentati non contro singoli nemici ma contro dei luoghi simbolo (chiese, musei, questure) e per giunta fuori dalla Sicilia, è qualcosa che lascia legittimi dubbi sull’esclusività della mafia siciliana nell’escogitare tale strategia. Così come lascia tanti interrogativi il depistaggio clamoroso dopo l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta, con l’invenzione di sana pianta di una pista investigativa con il supporto di un falso pentito, depistaggio guidato dal questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, collaboratore dei servizi segreti.

Non avendo una tradizione stragista alle spalle, quando la mafia decide di avviare un’azione di destabilizzazione per favorire un accordo con la nuova classe dirigente, stabilisce contatti anche con coloro che erano i massimi esperti di questa strategia, i servizi segreti deviati, e con i principali esecutori, i neofascisti.

L’intreccio tra mafia ed eversione di destra ha avuto ampi riscontri anche in Calabria. Il 22 luglio 1970, la Freccia del Sud, il direttissimo Palermo-Torino, deragliò a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro. Persero la vita sei persone. Solo otto giorni prima era iniziata la rivolta di Reggio Calabria, a seguito della mancata assegnazione alla città del ruolo di capoluogo di regione. Il movimento eversivo “Boia chi molla” aveva stipulato un accordo con la famiglia ’ndranghetista dei De Stefano. Nel 1993, nell’ambito del processo “Olimpia 1”, il pentito Giacomo Lauro dichiarò che era stato il neofascista Vito Silverini a posizionare la bomba che provocò il deragliamento del treno, come atto preparatorio di un piano golpista di Junio Valerio Borghese assieme ai neofascisti di Avanguardia nazionale. Il golpe era stato programmato per l’8 dicembre 1970 e Borghese, già comandante della X Mas e poi dal 1951 al 1953 presidente del Msi, chiese l’aiuto anche della mafia siciliana. Il boss Luciano Liggio si vantò di aver rifiutato di parteciparvi.

Giovanni Falcone riteneva che uno dei killer di Piersanti Mattarella fosse il neofascista Giusva Fioravanti, riconosciuto sulle foto segnaletiche dalla moglie del presidente, assieme a Gilberto Cavallini. Successivamente l’ipotesi investigativa fu scartata.

Ma proprio in quel periodo diversi esponenti del terrorismo nero erano presenti in Sicilia. Sicuramente lo era Fioravanti secondo la testimonianza del fratello Cristiano. E sta di fatto che Paolo Bellini, condannato all’ergastolo per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, aveva suggerito al boss Antonino Gioè di mirare con le stragi al patrimonio artistico italiano. Le bombe, infatti, furono messe davanti ad alcune delle più belle chiese della Capitale e a pochi metri dalla Galleria degli Uffizi di Firenze.

La moglie di Bellini ha dichiarato che il marito si trovava a Palermo nei giorni dell’attentato a Falcone. Così come era in Sicilia il terrorista nero Stefano Delle Chiaie tra il 1991 e il 1992. Come mai tanti leader dell’eversione neofascista, autori di stragi che hanno contrassegnato la storia d’Italia del secondo dopoguerra, sono presenti contemporaneamente sui luoghi di assassinii “eccellenti”?

Appena sei mesi dopo l’uccisione di Mattarella ci fu l’attentato alla stazione di Bologna (85 morti) con il coinvolgimento degli stessi terroristi neri accusati da Falcone di essere i killer del presidente della Sicilia. La sentenza della Corte d’assise di Bologna ribadisce che a ideare la strategia della tensione sono stati apparati deviati dello Stato italiano (Federico Umberto D’Amato, responsabile di un ufficio del ministero degli Interni) assieme al capo della loggia P2 (Licio Gelli) e a realizzarla terroristi neofascisti. Un altro esponente dei vertici dei servizi segreti, il generale Maletti, è stato condannato a 15 anni come corresponsabile della strage di Piazza Fontana di Milano del dicembre 1969. Per l’attentato ai Georgofili di Firenze a maggio 1993 una relazione della Commissione antimafia afferma che oltre ai mafiosi furono coinvolti altri soggetti che potenziarono il tritolo per rendere l’esplosione più devastante.

La vicinanza ideologica tra le mafie e il terrorismo di destra è del tutto evidente nell’esaltazione della violenza come regolatrice delle relazioni umane e politiche e come levatrice della storia. Ma il legame più forte è la comune avversione al comunismo. La mafia legava il suo anticomunismo agli interessi della Dc; gli eversori neofascisti, invece, a quelli dei servizi segreti che avevano ideato la strategia della tensione per impedire al Partito comunista italiano di accedere al governo. Apparati dei servizi segreti erano impegnati a fare attentati, o a depistarli, piuttosto che a sventarli. Lungo questa linea, nel sentirsi coinvolto in una guerra contro l’ordine costituito e contro i nemici rossi dell’Occidente, il terrorismo nero è stato contaminato da ogni forma di potere occulto che si muovesse nella stessa direzione: massoneria di Licio Gelli, strutture armate della guerra fredda (Gladio), servizi segreti italiani e stranieri. Tra i paladini armati contro il pericolo comunista, anche la mafia è stata coinvolta. Difficile smentire questo dato della nostra storia.

di Isaia Sales – ilfattoquotidiano.it

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