L'etica del viandante

 ... È impressionante che questa etica terapeutica inizi con la patologizzazione della scuola primaria, dove più non si contano i disgrafici, i dislessici, i discalculici, quando forse basterebbe un po' di esercizio e di cura per sfoltire la schiera di questi bambini, non di rado marchiati da una diagnosi che parla di "ansia generalizzata" per dire che uno è preoccupato, di "ansia sociale" per dire che uno è timido, di "fobia sociale" per dire che uno è molto riservato, di "libera ansia fluttuante" per chi non sa di che cosa si preoccupa. Che dire poi dei consigli che psicologi, medici, dietologi rivolgono agli studenti che si apprestano a fare l'esame di maturità, che non dovrebbe intimorire nessuno che abbia veramente e seriamente studiato? Che significa mettere in guardia le donne in procinto di partorire dalla "depressione post partum", inscrivendo preventivamente quel fenomeno naturale che è la generazione di un figlio in uno scenario al confine con la patologia? Davvero i cassaintegrati e i licenziati hanno bisogno di un'assistenza psicologica per evitare drammi familiari, e non invece di un nuovo posto di lavoro? Ma che cosa c'è sotto questo cambiamento linguistico, per cui esperienze fino a ieri ritenute normali oggi vengono rubricate tra le sindromi psicopatologiche? A cosa mira questa invasione della. psicopatologia nella vita quotidiana, se non a creare in noi tutti un senso di vulnerabilità e quindi un bisogno di protezione, di tutela, quando non addirittura di cura? Forse la patologizzazione di esperienze umane fino a ieri ritenute normali risponde all'esigenza di omologare gli individui non solo nel loro modo di pensare, ma soprattutto nel loro modo di volere e di sentire..."

(Umberto Galimberti, "L'etica del viandante" - Feltrinelli)


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