Referendum
Una riflessione su questo mezzo secolo di appuntamenti referendari, a partire dal 1974, andrebbe forse fatta.
Io non penso che la questione si possa affrontare unicamente, come sembra invece fare Maurizio Landini, puntando il dito sulla "crisi democratica evidente". A meno di non interrogarsi su cosa noi possiamo e dobbiamo intendere per democrazia, che non è, non può ridursi al puro esercizio del diritto di voto.
Ho buona memoria e ricordo molto del referendum del 1974 sul divorzio, che fu il primo dell'Italia repubblicana. Quell'appuntamento sanciva uno dei principi della nostra Costituzione: la sovranità popolare che non si esprimeva soltanto attraverso le elezioni e la delega agli eletti della funzione legislativa, ma interveniva direttamente su una legge del Parlamento, in quel caso la legge che aveva introdotto il divorzio. E forse non fu casuale che a promuovere quella consultazione popolare fosse stata la destra - Gabrio Lombardi con l'appoggio dell'Azione Cattolica, della CEI, di una DC riluttante (il partito temeva gli esiti ma vi fu trascinato) e del MSI sempre pronto a fare proprie le battaglie più reazionarie. A sinistra, penso soprattutto al PCI, il referendum era uno strumento guardato con un certo sospetto: la sovranità popolare espressa in quel modo appariva pur sempre un azzardo. Piu disinvolti apparvero i partiti laici e i socialisti.
Votò l'87 per cento degli aventi diritto, oggi ci sembra un'enormita'. E in parte lo era. In quel 1974 era ancora forte l'onda lunga di un ciclo di lotte che aveva attraversato gli anni Sessanta e parte dei Settanta. Quel voto fu anche un voto contro la DC. Un anno dopo la sinistra conquistava la guida delle principali città (Roma, Napoli, Torino, Milano, Genova, una cosa mai vista) e nel 1976 le elezioni politiche videro insieme il picco dei voti e il fine corsa di quella stagione.
I referendum successivi (legge Reale e finanziamento pubblico dei partiti) si svolsero nel giugno del 1978, a ridosso del sequestro Moro con un clima politico ormai mutato; quelli del 1981 videro sempre sconfitti i radicali (e il Movimento per la vita sul quesito relativo all'aborto). Fine di una stagione e calo sempre più pronunciato dei partecipanti. Da quel momento lo strumento referendario subì torsioni e abusi che lo misero in crisi oltre a farne un campo di sperimentazione per le campagne di segno populista.
L'ho fatta un po' lunga ma sono convinto che le battaglie referendarie siano state un momento virtuoso sempre e soltanto quando accompagnate da una spinta reale della società come fu in quel 1974. Senza quel ciclo di lotte sociali e culturali che lo aveva preceduto non si sarebbe vinto alcun referendum, senza una società in movimento avrebbe prevalso la palude.
L'Italia di questo ultimo decennio non ha nulla a che vedere con quella di quegli anni. È un Paese silenziato, regredito, privo di conflitti forti, incapace persino (e spesso anche nelle sue organizzazioni sindacali) di pensarsi in lotta. Una palude, appunto. In queste condizioni non vi erano possibilità di trascinare al voto la maggioranza degli aventi diritto e il referendum e' stato non un terreno di conquista ma lo specchio della propria debolezza.
Peter Freeman
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