Il pescescrittore e il suo storione
Favola per adulti – in prima persona, in forma liquida
Io scrivo.
Non per respirare —
che l’acqua me la passo tra le branchie —
ma per stare vivo.
Vivo sul filo
tra finzione e corrente.
Scrivo con le pinne.
Scarroccio sui fondali,
graffio alghe come pergameni,
intingo i pensieri
nell’inchiostro dei calamari più timidi.
scrivo.
E ogni parola è un’onda.
Ogni frase un fondale.
Ogni storia…
Uno storione.
Sì: io racconto storioni.
Grossi.
Che non ci stanno nel senso.
Che devi leggere con tutto il corpo,
con tutta la salinità che hai dentro.
— “raccontaci una verità!”
mi chiedono, i pesci piccoli.
E io:
— “vi regalo una bugia profonda.
Così profonda da sembrare onesta.”
Scrivo di un pesce volante che non sa atterrare,
di una murena che canta nei sogni,
di una sogliola che non accetta la piattezza,
di un branco che nuota a caso
ma si capisce lo stesso.
E poi…
C’è il polpo
Il polpo che si innamora
di un sasso che non parla.
e lo abbraccia.
Otto volte.
Perché l’amore, sotto, è sempre muto
ma ha tante braccia.
Scrivo così.
Per chi ha perso la rotta.
Per chi legge tra le linee di corrente.
Per chi sa che una storia bella
non salva,
ma fa compagnia.
Finché…
succede.
Una cosa che non ho scritto.
Un’improvvisa interruzione del narrare.
Una virgola che si crede arpione.
Una lenza.
Dal cielo.
Dal sopra.
Dall’aria che non conosco.
Silenziosa.
Tagliente.
Mi prende.
Mi tira.
Mi strappa.
Mi solleva.
Fuori.
Fuori dall’acqua.
Fuori dal racconto.
Fuori da me.
La penna mi scivola via.
Le lettere si spargono
come branchi impauriti.
I miei personaggi fuggono.
La trama si slaccia.
E io salgo.
Salgo.
Senza parole.
Senza più pagina.
Solo luce.
Troppa luce.
In un’ultima bolla,
prima di scoppiare,
penso:
“forse non mi hanno letto abbastanza a fondo.
O forse…
sono arrivato
al titolo del prossimo racconto.”
E galleggio.
Senza voce.
Con la bocca piena di mare.
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