La nausea

... Le avventure sono nei libri. Naturalmente tutto ciò che si racconta nei libri può accadere davvero, ma non nello stesso modo. Ed è a questo modo ch'io tenevo tanto.
Innanzitutto sarebbe stato necessario che gli inizi fossero stati veri inizi. Ahimè! Come vedo bene, adesso, quello che avrei voluto! Veri inizi, che sorgessero d'improvviso come uno squillo di tromba, come le prime note di un'aria di jazz, che troncassero la noia, che consolidassero la durata; avrei voluto di quelle sere, tra le altre, di cui in seguito si dice: «Era una sera di maggio, passeggiavo». Uno passeggia, la luna s'è appena levata, si è oziosi, sfaccendati, un po' vuoti. E poi, d'un tratto, si pensa: «È capitato qualcosa». Una cosa qualsiasi: un leggero scricchiolio nell'ombra, una sagoma leggera che traversa la strada. Ma questo tenue avvenimento non è come gli altri: si vede subito che precede una grande forma il cui profilo si perde nella nebbia, e allora ci diciamo: «Sta per cominciare qualcosa». ...
... Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo. È questo che trae in inganno la gente: un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato delle sue storie e delle storie altrui, tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere la sua vita come se la raccontasse.
Ma bisogna scegliere: o vivere o raccontare. Per esempio quando ero ad Amburgo con quell'Erna di cui non mi fidavo e che aveva paura di me, menavo un' esistenza strana. Ma c'ero dentro, e non ci pensavo. Poi, una sera, in un piccolo caffè di San Pauli, ella mi lasciò per andare al lavabo, ed io rimasi solo. C'era un fonografo che suonava Blue Sky. Mi misi a raccontarmi quello ch' era avvenuto al mio sbarco. Mi dissi: «La terza sera, mentre entravo in un dancing chiamato la Grotta Azzurra, ho notato un pezzo di donna mezzo ubriaca. E quella donna è quella che attendo in questo momento, mentre ascolto Blue Sky, e che sta per tornare a sedersi alla mia destra e a circondarmi il collo con le sue braccia». Allora ho sentito acutamente che avevo un'avventura. Ma Erna è tornata, mi si è seduta accanto, m'ha circondato il collo con le braccia ed io l'ho detestata, senza saper bene perché. Lo capisco ora: bisognava ricominciare a vivere e l'impressione dell'avventura era svanita. ...
... Ma quando si racconta la vita, tutto cambia. Soltanto ch'è un cambiamento che nessuno rileva: la prova ne è che si parla di storie vere. Come se potessero esservi storie vere; gli avvenimenti si verificano in un senso e noi li raccontiamo in senso inverso. Sembra che si cominci dal principio: «Era una bella serata dell'autunno 1922. Io ero scrivano di un notaio a Marommes». E in realtà si è cominciato dalla fine. La fine è lì, invisibile e presente, ed è essa che dà a queste poche parole l' enfasi e il valore d'un inizio: «Passeggiavo, ero uscito dal villaggio senza accorgermene, pensavo ai miei imbarazzi finanziari». Questa frase, presa semplicemente per quello che è, vuol dire che questo tale era assorto, afflitto, a mille miglia da un'avventura, precisamente in quel particolare stato d'animo nel quale si lasciano passare gli avvenimenti senza vederli. Ma la fine è lì presente a trasformare tutto. Per noi questo tipo è già l'eroe della storia. La sua tetraggine, i suoi imbarazzi finanziari sono ben più preziosi dei nostri, sono tutti indorati dalla luce delle passioni future. Ed il racconto prosegue a ritroso: gli istanti hanno cessato d'ammucchiarsi a casaccio gli uni sopra gli altri, sono ghermiti dalla fine della storia che li attira, e ciascuno di essi attira a sua volta l'istante che lo precede: «Annottava, la strada era deserta». La frase è gettata là, negligentemente, ha un'apparenza superflua, ma noi non ci lasciamo ingannare e la mettiamo da parte: è un'informazione di cui comprenderemo il valore in seguito. Ed abbiamo la sensazione che l'eroe ha vissuto tutti i particolari di questa notte come presagi, come promesse, o anche ch'egli abbia vissuto soltanto quelli che erano promesse, cieco e sordo per tutto ciò che non annunciava l'avventura. Dimentichiamo che l'avvenire non c'era ancora; quel tale passeggiava in una notte senza presagi, che gli offriva alla rinfusa le sue ricchezze monotone, ed egli non sceglieva.

Jean-Paul Sartre - da "La nausea" Einaudi Edizioni, 1990

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