Trauma
TRAUMA, come depressione, è una parola che ha la peculiarità di diventare meno grave e acuta man mano che la usi. Se durante l’infanzia indica un evento oscuro e violento in cui verrai assorbito tuo malgrado (quando i tuoi amici ti hanno invitato a scalare un albero più in fretta di loro non credevi davvero che saresti caduto, né tantomeno che saresti finito in coma), durante l’adolescenza capirai che nel confino della tua cameretta, e delle complicate relazioni sentimentali che intrattieni, tutto è trauma: un bicchiere spaccato inavvertitamente, il ciclo mestruale durante la gita scolastica, una telefonata alle tre di notte in cui nessuno si prende la briga di rispondere. Per diversi anni della tua vita, sarai sempre traumatizzato e depresso, e rivendicherai questa suscettibilità con penoso orgoglio. Il trauma non è più la caduta precipitosa da un albero, non ha più alcuna qualità ossea, ma è diventato una specie di happening diffuso in cui vivi 24/7: cambi stanza ma ti pare di stare sempre nella stessa installazione. Da adulto puoi fare due cose: iniziare ad apprezzare i connotati ridicoli e comici del trauma, depotenziandone tutto il clamore (trauma, trauma, trauma) «Ma va! Come sei traumatico!» dove traumatico sostituisce l’abusato «drammatico», oppure restare intrappolato nelle sue implicazioni più dolorose. Giungendo a conclusioni importanti e di parziale sollievo: non puoi fare un trauma su un trauma così come non puoi fare un livido su un livido. Quelle parti incidentate del tuo corpo e della tua coscienza sono cicatrizzate per sempre, morte a loro stesse e morte a te. Ma non preoccuparti: avrai tempo e modo di romperti qualcos’altro, o di spezzarti altrove.
Claudia Durastanti è nata a Brooklyn nel 1984. Ha scritto due romanzi: Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra (Marsilio 2010), e A Chloe, per le ragioni sbagliate (Marsilio, 2013), che ha anche un suo Tumblr. Scrive su Indieforbunnies e sul Mucchio, dove si occupa prevalentemente di cultura pop. Vive a Londra.
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