Il vino speziato

Prima di partire per sempre, e prima di essere trasportato dalla nostra villa di mare alla clinica, zio Aroldo, nelle ultime settimane sul divano, divenne come un giocattolo per me e per se stesso. Facevamo ancora le partite a battaglia navale, le parole crociate, poche partite a scacchi e a dama perché quei giochi di riflessioni lo spazientivano, così come poche partite a carte, che consistevano nell’unico gioco che diceva di conoscere, un gioco che aveva un nome siciliano, ti vitti, ti ho visto. Un gioco di cui non ricordo più le regole, le ho dimenticate subito dopo che zio si è allontanato dalla mia vista. Ma il gioco che aveva inventato e che preferiva era il cielo, zio Aroldo diceva che poteva toccare il cielo e alzava insieme le mani, seguendone le punte della dita con gli occhi, e arrivato poco sopra la testa diceva, ecco, lo sto toccando, e mi raccontava di quali stelle, quali pianeti orbitassero attorno alle sue dita come anelli. Poi improvvisamente faceva schizzare le mani di lato, a destra o a sinistra, proiettandole in un altro sistema solare o addirittura un’altra galassia. Percorreva milioni e forse miliardi di anni luce con le mani. Non si stancava di quei movimenti immensi, perché mi diceva che passava attraverso fonti di energia così potenti che lo tenevano sempre caldo e forte. In fondo anche nel gioco del cielo ciò che importava era attraversare fonti di calore, passare nel calore, stare nel calore, essere nel calore, evitare il freddo. Il gioco del cielo mi affascinava anche se intuivo che c’era qualcosa di assurdo perché non si vinceva né si perdeva, non c’era sfida, c’era solo un movimento che doveva assicurarsi quanto più calore possibile.

Giordano Tedoldi, Il vino speziato, Movimento 3

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