Capire la musica

In quale senso parliamo allora d’espressione e magari anche di sentimenti? E in qual senso, quindi, possiamo ammettere che capire la musica non sia soltanto rendersi conto della successione dei suoni che la compongono? Già Roberto Schumann, testimonio non sospetto, avvertiva: «Si sbaglia di certo, se si crede che i compositori si mettano innanzi penna e carta nel misero proposito d’esprimere, descrivere e colorire questa cosa o quella…». Il vero valore espressivo della musica non si deve infatti a un proposito. È la conseguenza della sua qualità involontaria, ma ineliminabile, di produzione umana. Certo, la musica è espressione della qualità umana, di un uomo così e così individuato, che nella sua singola puntualizzazione è il portato e il compendio d’un’intera situazione storica, e che naturalmente passa, nella sua vita, attraverso ogni sorta di disposizioni dell’animo (i cosiddetti «sentimenti», ma concretamente individualizzati), disposizioni che si riflettono sulle varie parti dell’opera sua. Capire la musica, allora, vuol anche dire possedere tutto quel bagaglio di cognizioni storiche e filologiche che permettono di collocare un autore musicale nella storia dello spirito umano e della cultura, e anche quelle doti di penetrazione umana, perfino psicologica, che consentono d’intenderne con calore d’affetto la personalità, e di riconoscerne nelle opere i vari aspetti e momenti. Non per arrivare ad afferrare o ricostruire, al di là delle opere musicali, qualche presunta realtà biografica di cui quelle siano l’«espressione», nel deprecato senso simbolico della parola, ma semplicemente per intenderle nella loro essenziale qualità umana.
Qualità umana, diversamente atteggiata secondo le infinite determinazioni individuali indotte dalle circostanze eternamente variabili, che mai si ripetono perfettamente uguali (donde l’improprietà della generalizzazione che si opera quando si parla di dolore, di gioia, ecc., quando il dolore di Beethoven è tutt’altra cosa del dolore di Schumann, e questo ancora altro dal dolore di Brahms; e il dolore di Beethoven nei tempi lenti delle prime Sonate per pianoforte è tutt’altra cosa dal dolore di Beethoven negli ultimi Quartetti). Avvertire nella musica l’espressione continua di questa multiforme qualità umana, questo è ancora capire la musica. Ma non nel senso che là ci sia la qualità umana, e qua la musica, sua espressione; bensì nel senso che sono una cosa sola. Espressione, non nel senso che l’innalzamento della colonna di mercurio d’alcuni gradi sopra il 37 è l’espressione della febbre; ma nel senso che la fronte calda, l’occhio lucido, la frequenza delle pulsazioni, la sete, l’offuscamento della mente sono espressione della febbre; sono la febbre.

Massimo Mila, Capire la musica (da L’esperienza musicale e l’estetica)

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