Il contesto

Si era creata una prigione, e pareva ci stesse bene. Perciò la scoperta di una prigione in cui lo si poteva tenere ingiustamente, per forza, per violenza, per macchinazione e decisione altrui, aveva sommosso in lui un lucido e implacabile odio, una gelida e micidiale follia. E in fondo, nella vita, la più grande affermazione di libertà è quella di chi si crea una prigione (Rogas si contraddiceva). Montaigne, Kant. E perché ridere del povero Cres, del suo nome accanto a questi nomi, se quando Beethoven, dal cielo, dal castello degli spiriti magni, decreta che una perfetta esecuzione del suo quartetto in do minore arrivi alle orecchie di alcune fanciulle in fiore queste altro non sentano che il murmure di una conchiglia, la fanfara di un reggimento? Ci sono quelle che Edward Morgan Forster, autore del fantastico aneddoto beethoveniano, chiamava “le fonti centrali”: le fonti centrali e demaniali (le “res nullius” preferiva Rogas) della melodia, della vittoria del pensiero. Beethoven dentro una conchiglia. Austerlitz in una scampagnata. La Critica della ragion pura su un biliardo. Gli Essais nelle bocce di una farmacia. Ma la prigione vera, quella di cui gli altri tengono le chiavi, quella cui gli altri vi costringono, è appunto la negazione della prigione cui forse ogni uomo aspira e che alcuni, inconsapevolmente o meno, realizzano nella propria vita.

Leonardo Sciascia

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