Le trasformazioni silenziose

La lingua cinese non ha mai detto il “tempo” in maniera unitaria e generale. Ma, da una parte, dice la stagione-momento-occasione (shi) che con la sua variazione ritma la vita delle cose, induce le nostre attività e serve da cornice al rituale: richiamando con la sua grafia i germi di vita contenuti nella terra e che il sole fa schiudere, il termine conserva profondamente radicato in sé il senso qualitativo e circostanziale; e, d’altra parte, dice la “durata” (jiu) che procede dall’alternanza di tali momenti e fa coppia con lo spazio (così nel “Canone moista”). Lo conferma il fatto che i Cinesi hanno dovuto tradurre “tempo” in cinese alla fine del XIX secolo, quando hanno incontrato il pensiero occidentale, con “fra-momenti” (shi-jian in cinese, ji-kan in giapponese). Fino ad allora, hanno pensato la variazione stagionale e insieme la durata che ne deriva, ma non hanno mai isolato un tempo omogeneo-astratto dalla durata dei processi.

François Jullien, Le trasformazioni silenziose, Raffaello Cortina editore

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