I racconti della Tuscia

Drammi Drammoni Drammetti

I Giornata

Qualche anno fa mi trovavo a Torino per ragioni di lavoro, non di cantastorie. A quei tempi facevo il professore, ed ero stato nominato Presidente di Commissione per gli esami di maturità: Menes ne è testimone, se non ci credete.
Dopo i lunghi giorni d’esami, prima di accomiatarci, noi tutti i componenti la commissione esaminatrice ci radunammo in un ristorante presso la stazione di Porta Nuova per festeggiare la fine del lavoro e solennizzare in tal modo gli addii.
A capotavola mi trovavo a disagio, perché tutti mi guardavano, e io non sapevo come comportarmi da persona che presieda: ma avevo già in animo la mia vendetta.
Dopo i primi piatti, il discorso prese a vertere sull’amenità brumosa del paesaggio piemontese.
A un certo punto Chiara di Matematica si rivolse a me: “Presidénte, ditéci un po’ com’é la vòstra térra”, stringendo enfaticarnente le vocali.
E allora mi scatenai e non mi frenai più. Per questo ora sono costretto a sintetizzare.
“dlin dlon dlan!”

La Tuscia

“La mia terra” incominciai “è la Tuscia. La Tuscia è il Viterbese. La Tuscia non è una provincia, ma un continente: in miniatura, s’intende.
L’Europa è il giardino del mondo; l’Italia è il giardino d’Europa; la Tuscia è il giardino d’Italia: ergo, la Tuscia è il giardino dei giardini.
Incominciamo dal clima. Si dice di certe isole fortunate che lì arrida un’eterna primavera: nella Tuscia, invece, le stagioni ci sono tutte, le più dolci e le più gradevoli del mondo.
L’estate non è mai troppo calda per via dell’alito rinfrescante del vento marino, di giorno, e della brezza di monte, la sera; l’inverno non è mai troppo rigido, ché anzi è sempre gradevole, anche in quelle rarissime volte in cui compare la neve. La primavera, poi, è tutto uno sfavillio di luci e di colori, di gioia e di festa; in autunno è meglio che in primavera.
Inoltre vi sono nel clima diverse sfumature: vicino al mare è in un modo, vicino ai laghi in un altro; in montagna è diverso che in pianura; in collina è diverso che nelle zone palustri. Nella Tuscia c’è tutto: mare di scoglio e mare di spiaggia, montagne, colline, pianure, laghi, fiumi, paludi e perfino zone umide salmastre, naturali e artificiali, come le saline, con un’incredibile varietà di flora e di fauna selvatiche.
Il lago di Vico, con i suoi incantevoli cannucceti, rifugio di folaghe e di uccelli acquatici; il lago di Bolsena, uno dei più grandi laghi vulcanici, circondato da monti boscosi e da colline sempreverdi; il lago di Mezzano, solitario e selvaggio, ultimo rifugio della lontra nostrana, sito nella Selva del Lamone - non lontano dalle sue rive sorgeva il Fanum Voltumnae, se i miei eventuali lettori hanno seguito tutta la storia... - immensa e misteriosa, un po’ foresta e un po’ deserto sassoso; il lago di Monterosi, piccolo e delizioso come una confettiera d’argento; il lago di Bracciano, che non è viterbese, ma come se lo fosse. Questi sono i gioielli della Tuscia.
Inoltre occorre ricordare la grande Selva Cimina, già famosa al tempo splendido degli Etruschi antichi, che tanto spavento aveva infuso ai soldati del Console Q. Fabio Rulliano nell’anno 444 a.C. e al Console stesso, i quali tentavano, invasori, di varcarla portando guerra agli Etruschi ignari, che pacificamente attendevano alle opere dei campi, horribile dictu: erano partiti con infausti presagi e contro il parere del Senato. In quell’occasione - dicono - fu fondata Vetema (Vetralla), ma non è vero: essa esisteva già; si ingrandì solo, col commercio del legname. La Selva è rimasta da allora pressoché intatta. Da ricordare ancora il Monte Rufeno (già Orofino, per le sue miniere d’oro un tempo sfruttate dai nostri antenati Etruschi), parco nazionale, i Monti Cimini, l’Oasi di Vulci, le saline di Tarquinia, ora rifugio e ristoro agli uccelli di passo; inoltre le paludi di Torcrognola al di là dei Monti di Canino: tutti luoghi indescrivibili a chi non può viverli da vicino. E i paesi? Sono i più belli del mondo, ognuno col suo castello avito, ognuno con la sua storia plurimillenaria, la sua inconfondibile fisionomia, sempre uguale e sempre diversa, come una fuga di Bach: Viterbo, città papale; Canino, sede dei Farnese e Principato bonaparteseo; Tarquinia la Turrita; Tuscania dalle belle fontane; Montefiascone, che domina il lago di Bolsena con la mole della sua Rocca dei Papi... ma suvvia, non posso citarli tutti: ci vorrebbe un’enciclopedia d’arte e di storia. Basta ricordarne alcuni, perché gli altri sono ugualmente importanti e belli, anche i più piccoli; come Pianiano, antica sede di Albanesi, quelli fuggiti al tempo dello Scandeberg; Roccalvecce, minuscolo paese che è tutto una rocca o, viceversa, una rocca che è un paese; Civita di Bagnoregio, la città che muore! sospesa fra cielo e terra, fra le nuvole, come un sogno che non se ne vuole andare...
C’è la Tuscia maremmana, ovvero Castrense, residuo del vecchio Ducato di Castro, dominio dei Farnese, e quella montana: la prima verde e più ricca di uliveti, ma in alcuni punti stepposa e sassosa; la seconda più boscosa e ricca di castagneti e noccioleti. E allora...
“Allora è un paradiso” osserva Silvia di Chimica.
“E un paradiso” confermo io.
A questo punto quell’allampanato di Menes mi dà nell’occhio, e io capisco: prende il suo mantello e le due chitarre che si era portato dietro. Io rovescio la giacca da dentro in fuori e la indosso così da sembrare un vero cantastorie, poi rubo dalla testa di Menes il cappellaccio nero da brigante maremmano stile ‘800, e me Io calco in testa. Diamo di piglio alle chitarre:
“Fior d’amaranto”
“Quando verrà quel giorno tutto santo”
“Che il prete mi dirà siete contento,..”
incomincia Menes la sua stornellata nella tonalità del Fa maggiore, e io dietro a lui. Giriamo tutti i tavoli. Rovescio il cappellaccio e raccolgo i soldi.
“Andiamo, sor Che’, ché questa è la serata buona: abbiamo già fatto diecimila lire. Laggiù ci sono altre osterie..,”
“O mio aedo, andiamo!”
Nell’andarmene do un’occhiata al tavolo dei miei colleghi. Vedo Mino di Filosofia che dice agli altri: “Che presidente abbiamo quest’anno!”.
E non li rividi più. Per fortuna.

“dlin! dlon! dlan!”
“dlan! dlon! dlin!”

Francesco Menghini

Commenti

Etichette

Mostra di più