L’arte è arte

Oggi la nostra esistenza si trova all’incrocio di tante realtà tra loro sconnesse e investite dei valori più contrastanti. Sia che voi viviate tra le mura della vostra casa una serena vita di famiglia nel più puro stile patriarcale, sia che coltiviate il libertinaggio o qualsiasi altra inclinazione: all’esterno, comunque, siete presi nell’ingranaggio di un mondo funzionale e dominato dall’utilitarismo che si è fatto della vostra esistenza un’idea ben precisa. Potete essere superstiziosi e toccare ferro, ma ciò non toglie che i resoconti sullo stato della ricerca e degli armamenti vi appaiano rassicuranti per la salvaguardia della vostra sicurezza e della vostra libertà. Potete credere all’immortalità della vostra anima e puntare tutto sulla condizione spirituale che vi è propria; all’esterno troverete comunque un giudizio diverso, fuori saranno i test a decidere, le autorità, gli affari, fuori sarete messi in malattia o in salute, fuori sarete classificati e valutati. Potete vedere fantasmi o valori reali, ne esistono moltissimi degli uni e degli altri, e inoltre potete affidarvi a tutti nello stesso tempo, purché poi, nella prassi, siate in grado di tenerli ben separati. Da una parte interiorità, senso, coscienza e sogno – dall’altra funzionalità, utilitarismo, insensatezza, frasi fatte e tacita violenza. Non date ai vostri pensieri un unico fondamento, potrebbe essere pericoloso– dategliene più di uno. Allo stato attuale delle cose, noi, a furia di consensi, siamo ormai arrivati al punto che Hermann Broch ha stigmatizzato con una frase irosa: “La morale è morale, gli affari sono affari, la guerra è guerra e l’arte è arte”.

Se noi la tolleriamo, se accettiamo la formula: “L’arte è arte” e il suo tono derisorio, e se i poeti l’accettano e la sostengono con superficialità e con la chiara intenzione di distruggere quella comunicazione con la società che è sempre in pericolo e quindi sempre da ricostruire, e se a sua volta la società si sottrae alla poesia quando i suoi contenuti diventano seri e scomodi e intendono cambiare le cose, allora vuol dire che stiamo dichiarando fallimento.

Sotto questi pessimi auspici noi tutti non avremmo più niente da pretendere gli uni dagli altri. Né l’arte dagli uomini, né gli uomini dall’arte. E non avremmo più bisogno di porre domande.

Ma noi poniamole, invece. E facciamolo in modo che esse riacquistino in futuro un carattere vincolante.

Ingeborg Bachmann

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