Decennio 1969-1979

Era il settembre del 1995, quando, ricordiamolo, Carlo Mazzantini pubblicò il suo romanzo dedicato ai “ragazzi di Salò”, “mossi soprattutto dalla volontà di preservare l'onore della patria e la propria dignità di uomini”. Un anno dopo, il nuovo presidente della Camera, l'ex comunista Luciano Violante, appena insediato, si rivolse ancora ai fascisti che avevano militato nella Rsi, chiamandoli “ragazzi di Salò”. Il termine faceva così il suo ingresso trionfale sulla ribalta mediatica, trovando una propria legittimazione sia sul piano editoriale sia su quello politico-istituzionale. Quella definizione, oltre ad avere una fortissima valenza emotiva, esplicitava anche una precisa opzione interpretativa. Come per i “ragazzi della via Pal” o i “ragazzi del ‘99”, non si trattava di una espressione asettica, constatativa: il mantello assolutorio dell'adolescenza veniva disteso sui protagonisti di quella oscura vicenda; e l'adolescenza evoca sempre l'irresponsabilità o meglio la deresponsabilizzazione, spalancando la strada a una visione totalmente assolutoria di quell'esperienza. In una sorta di fanciullesca ingenuità precipitavano gli eventi tragici che scandirono il percorso della militanza nella Rsi (la complicità nella deportazione degli ebrei, la partecipazione diretta alle stragi dei civili), depotenziati di tutta la loro carica di violenza. Il passo successivo fu la considerazione non solo della loro buona fede soggettiva, ma anche delle loro ragioni ideali: l'amor di patria, l'onore, la fedeltà all'alleato tedesco ecc.
Emergeva così nitidamente un progetto culturale e storiografico che intendeva mettere sullo stesso piano partigiani e “repubblichini”.

— Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Feltrinelli Editore, 2011 (1ª ed.ne 2009); p. 213.

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