Il ladro e la verità

di Vincenzo Policreti

Il ladro

Era uscito da quella camera come al solito: erano tante le volte che era entrato da averci preso quasi l’abitudine. Quasi: perché in realtà ancora dopo due anni, ogni volta che ci ritornava, sentiva dentro di sé qualcosa di tremendo e d’inebriante che non seppe mai descrivere; che è proprio l’effetto che fa l’adrenalina, una vera e propria droga che in certe condizioni il nostro organismo produce e immette nel sangue con tutti gli effetti della droga, comprese l’assuefazione e la crisi d’astinenza.

La circospezione con cui era scivolato fuori era quindi dovuta all’abitudine, meglio ancora, a una specie di ritualità, più che a vera apprensione.

Perciò era lontanissimo dall’aspettarselo: le canne delle due pistole contro la testa, la voce “Carabinieri! Fermo dove sei!”, le mani che lo afferrano, lo immobilizzano. Un colpo, un vuoto alla bocca dello stomaco, un trauma improvviso, di tale potenza che mai sarebbe riuscito, neppure anni dopo, a evocare del tutto.

I due carabinieri in borghese erano saltati fuori da chissà dove. Uno dei due, un maresciallo, lo squadrò brevemente, gli frugò nelle tasche, prese il denaro che lui vi aveva ficcato alla rinfusa, trecento euro, poi, senza più guardarlo, disse tranquillo al commilitone: “Mettigli le manette, io chiamo la macchina”.

Ma l’altro sembrava inebetito: guardava l’arrestato, gli occhi spalancati, la bocca semiaperta, incapace, nonostante il mestiere, di parlare, di muoversi.

“Mettigli le manette” ripeté il maresciallo, pensando non avesse udito. Ma il carabiniere non si muoveva; solo dopo un lungo silenzio riuscì a mormorare:

‘Sergio!…’’

Allora soltanto Sergio, il fermato, si scosse per un attimo e riconobbe Gianni, l’amico carabiniere.

“Sergio Ma... che hai fatto?”

Il graduato stava per spazientirsi, vedendo che il sottoposto non gli ubbidiva (ci mancherebbe altro che nell’Arma l’ubbidienza si discutesse); rimase un attimo dubbioso, poi chiese:

“E una nostra conoscenza?”.

“Ma... è Sergio... Sergio!” Sembrava incapace di dire di più.

“Sergio chi? Lo conosci? Chi è?”

“Oddio, oddio. oddio... Ma Sergio Sergio? Che hai fatto? Ma ti rendi conto?” Tra i due il carabiniere sembrava più sconvolto dell’arrestato, che ora se ne stava lì immobile, senza apparenti reazioni.

“Ma insomma, si può sapere...” Il maresciallo stava perdendo la pazienza.

“A Sè, ma che hai fatto? È Sergio! Non è un ladro!”

“Come, non è un ladro? E qui che ci stava a fare? E questi soldi di chi sono? Qui sono mesi, forse anni che spariscono quattrini da questa casa, noi lo pizzichiamo sul fatto e non è un ladro? E se non è un ladro che è?!”

Il maresciallo era uso, se non proprio a ubbidir tacendo e tacendo mori, come recita il motto, a non parlare comunque a vanvera e ad agire con rapidità ed efficacia. Proprio come questa volta. Ed ecco che un carabiniere semplice, della cui serietà mai ha avuto occasione di dubitare, se ne salta fuori con tutte queste seghe, e a Sè, e non è u ladro, e ma ti rendi conto... Ma facciamo i carabinieri o i preti, perdio? E niente manette! Ma dove siamo?!

Le manette sono l’atto conclusivo di un’operazione riuscita: non si può prescindere dalle manette se si vuole che l’operazione possa essere, come diranno poi i giornali, “brillantemente conclusa”.

“Ma no, glielo assicuro, maresciallo!” Il carabiniere aveva le lacrime agli occhi, altra cosa inconcepibile e del tutto incompatibile con la serietà antica dell’uniforme. “Lo conosco bene.., è tanto amico pure di Giovanni... E una brava persona, glielo assicuro... lavora, ha famiglia.., tutta brava gente... A Sè, ma che hai fatto? Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?”

“E piantala, De Luca!” sbottò il maresciallo, “E no! Non è regolare! Hai visto mai senza manette poi ci scappa?”

“Ma no! Che scappa! Mica è un ladro. A Sergio, vero che non scappi pure se non t’ammanettiamo?”

Sergio sembrava davvero inebetito. E così disse sempre di essersi sentito; a tutti lo disse, che non si rendeva conto di niente, e così fu riportato dal giornale, in cronaca. Lo disse persino al Dottore. In realtà, in quel momento il suo cervello girava, girava velocissimo alla ricerca di una scappatoia: il Dottore non ne dubitò mai, neppure per un attimo. Tutti gli altri lo credettero e lo credono ancora. Ma un vero giocatore ci vive, di adrenalina, e più difficile è il gioco, più adrenalina manda in circolo. Dunque tutta l’adrenalina che aveva nel sangue s’era trasformata in una lucidità calma, guardinga e precisa, come quella di un animale che debba fronteggiare l’attacco di un predatore più grande e più forte di lui.

“No... no che non scappo: che scappo a fare?”

“Maresciallo, la prego, sia gentile. Questo amico mio sicuramente non sta bene.. Gli dev’essere successo qualcosa... qualcosa di strano alla testa, al cervello. Non è uno che ruba, non l’ha fatto mai!”

“Uffa!” Il maresciallo cominciava a rabbonirsi, anche perché l’ipotesi di un’infermità, o perlomeno di una seminfermità mentale, riportava il caso nell’alveo di quelli ben contemplati dal codice penale e dissipava quell’inconcepibile incongruità che lui non riusciva proprio a mandar giù: un carabiniere non è un professionista dell’opinabile e dell’incerto, per cui se c’era seminfermità mentale — ho detto se — doveva essere accertata. D’accordo che non era competenza sua, ma la fattispecie poteva comunque assumere connotati previsti dalla legge. Gli venne, improvvisa, l’idea giusta.

“Vabbè, vabbè, vedremo. Adesso facciamo una cosa: telefoniamo al denunciante e lo facciamo venire subito qua. Così intanto vediamo se sono davvero amici oppure no.”

“Vabbè, se proprio vuoi, lascia pure stare le manette” aggiunse a malincuore. “Bada però che se succede qualcosa ne rispondi tu.”

“Grazie maresciallo, grazie... Non è cattivo; non ci farà brutti scherzi. Vero Sergio?... Ma santoddio, che t’è venuto in mente, di fare ’ste cose? Ma stai male?”

Sergio fece un vago cenno con la testa. Gianni lo fece finalmente sedere e a ogni buon conto gli si sedette accanto, mettendosi (il mestiere è mestiere) tra lui e la porta. Nel frattempo il maresciallo stava telefonando.

“Pronto! Maresciallo Carpanzano, del comando provinciale Carabinieri. Il sig. Passone? Ah, è lei.., no, noi siamo ancora qua, in casa sua... Sì, sì, l’abbiamo beccato proprio adesso, lo teniamo qua... Grazie, grazie, il nostro è dovere. Però, veda, c’è un piccolo problema, sarebbe bene che lei venisse qui subito... No, no, non è questo: è che il carabiniere De Luca Giovanni, che ha svolto l’operazione ai miei ordini.., sì, me l’ha detto che siete amici. Anzi, veda, pare che anche il ladro” e qui si confuse un attimo “sì insomma, l’arrestato, sia un suo amico... No, non di De Luca, proprio suo... No, proprio identificato ancora no, ma De Luca sostiene che si tratterebbe di un certo Sergio, che secondo lui... Ora chiedo. De Luca! Come fa di cognome? Sebastiani? Sì, proprio Sebastiani, che.., ah sì, bravo, la aspettiamo, venga subito”.

A stretto rigore proprio una soluzione forse non era; però, date le circostanze, era la cosa migliore da fare: se Passone non lo riconosceva, per i carabinieri il caso era chiuso, con buona pace di quel pasticcione di un De Luca. E se invece lo riconosceva? Vabbè, staremo a vedere.

Giovanni Passone arrivò prima del previsto; doveva aver fatto la strada di corsa, sudava e ansimava un po’.

“Dov’è?” chiese per prima cosa. Domanda inutile: Sergio era davanti a lui, la testa bassa, gli occhi persi nel vuoto.

“Ma che avete combinato?” esclamò vivacemente. “Questo non è il ladro, questo è un amico mio! E che diamine, lo conosce bene anche Gianni, vero Gianni? Che v’è venuto in mente di arrestarlo?”

“Signor Passone, a che gioco giochiamo? Per piacere non ci si metta anche lei! La denuncia che le sparivano i soldi l’ha fatta lei o l’ho fatta io?”

“Sì, certo; i soldi mi sparivano, però...”

“E stato lei o no ad autorizzare l’appostamento dei carabinieri all’interno della sua abitazione per cogliere il ladro sul fatto?”

“Maresciallo, su questo non c’è questione. Ma Sergio, che cosa...”

“E noi sul fatto l’abbiamo colto!” il maresciallo trionfava. “Questo individuo aveva le chiavi, ecco perché lei non aveva mai trovato tracce di effrazione; è entrato in camera da letto, poi ne è uscito con questi in tasca.”

Aprì una cartella dove, assieme ad alcune carte intestate, timbrate e firmate, brillavano tre fogli da cento.

“Ma che vuol dire? Anch’io ho in tasca un po’ di centoni; e che, mi arresta per questo? Saranno stati soldi suoi, no?”

“AH, erano soldi suoi? E allora le dispiacerebbe per cortesia andare in camera a verificare se i soldi che ci ha messo stamattina e che abbiamo controllato e segnato assieme ci sono ancora tutti? Oppure magari no, eh? Tante volte fossero questi qua, che gli abbiamo trovato in tasca?”

Giovanni rimase un attimo indeciso, poi risolutamente entrò nella camera, aprì l’armadio, guardò in una vecchia scatola. Era là che quando tornava dal negozio buttava, alla rinfusa, l’incasso della giornata per portarlo poi con comodo in banca quando ne aveva fatto un bel gruzzolo.

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