Fontamara

La terra da lavorare in montagna restava poca, arida, sassosa, il clima sfavorevole. Il prosciugamento del lago di Fucino, avvenuto circa ottanta anni fa, ha giovato ai comuni del piano, ma non a quelli della montagna, perché ha prodotto un notevole abbassamento della temperatura in tutta la Marsica, fino a rovinare le antiche colture. Gli antichi uliveti sono così andati interamente distrutti. I vigneti sono spesso infestati dalle malattie e l’uva non arriva più a completa maturazione: per non farla gelare dalle prime nevi, dev’essere raccolta in fretta alla fine di ottobre e dà un vino asprigno come la limonata. Se lo devono bere, per lo più, gli stessi che lo producono.
Questi danni sarebbero stati largamente compensati dallo sfruttamento delle fertilissime terre emerse dal prosciugamento del lago, se la conca del Fucino non fosse stata sottoposta a un regime coloniale. Le grandi ricchezze che annualmente da essa si ricavano, impinguano un ceto ristretto di indigeni e per il resto emigrano verso la metropoli.
Bisogna infatti sapere che, assieme a vaste estensioni di terre dell’Agro Romano e della Maremma, i quattordicimila ettari del Fucino sono proprietà di una famiglia di sedicenti principi Torlonia, calati a Roma ai primi del secolo scorso al seguito di un reggimento francese. Ma questa sarebbe una tutt’altra storia. E forse, dopo aver narrato il triste destino dei Fontamaresi, per consolare i lettori scriverò un’edificante vita dei Torlognes, come in origine essi si chiamavano. La lettura ne sarà certo più divertente. L’oscura vicenda dei Fontamaresi è una monotona via crucis di cafoni affamati di terra che per generazioni e generazioni sudano sangue dall’alba al tramonto per ingrandire un minuscolo sterile podere, e non ci riescono; ma la sorte dei Torlognes è stata proprio il contrario. Nessuno dei Torlognes ha mai toccato la terra, neppure per svago, e di terra ne possiedono adesso estensioni sterminate, un pingue regno di molte diecine di migliaia di ettari.
I Torlognes arrivarono a Roma in tempo di guerra e specularono sulla guerra, poi specularono sulla pace, quindi specularono sul monopolio del sale, poi specularono sui torbidi del ‘48, sulla guerra del ‘59, sui Borboni del regno di Napoli e sulla loro rovina; più tardi hanno speculato sui Savoia, sulla democrazia e sulla dittatura. Così, senza togliersi i guanti, hanno guadagnato miliardi. Dopo il ‘60 riuscì ad un Torlogne di impadronirsi a poco prezzo delle azioni di una società finanziaria napoletana-franco-spagnuola che aveva fatto perforare l’emissario per il prosciugamento del Fucino e che si trovava in difficoltà per la caduta del regno: secondo i diritti riconosciuti alla società dal re di Napoli, Torlogne avrebbe dovuto godere l’usufrutto delle terre prosciugate per la durata di novant’anni. Ma, in cambio dell’appoggio politico che egli offrì alla debole dinastia piemontese, Torlogne ricevette le terre in proprietà perpetua, fu insignito del titolo di duca e più tardi di quello di principe. La dinastia piemontese gli regalò insomma una cosa che non le apparteneva. I Fontamaresi assisterono a questo spettacolo svoltosi nella pianura e, benché nuovo, lo trovarono assai naturale, perché in armonia con gli antichi soprusi. Ma in montagna la vita continuò come prima.
Ignazio Silone, Fontamara (brano tratto dalla prefazione dell’autore)

[1ª ed. originale: Verlag Dr. Oprecht & Helbling AG., Zurigo, maggio 1933; 1ª ed. italiana: Editore Faro, Roma, 1947].

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