I ferri del mestiere

Quando Neil Armstrong impresse la prima orma umana sulla polvere del nostro satellite, ciò che noi provammo, al di là dell'ammirazione per il coraggio suo e dei suoi compagni, e in generale dell'intraprendenza e della genialità della specie a cui apparteniamo, fu un senso di tristezza, di conclusione, di definitiva solitudine. Anche se è avvenuta nel 1969, la conquista della Luna è in realtà un'impresa ottocentesca, appartiene idealmente a quel secolo di fondamentale ottimismo, di sanguigna e orgogliosa fiducia nella scienza, di vaste e nobili aspettative; e anche se nei prossimi cinquant'anni altri ardimentosi sbarcheranno su Marte, su Venere, su tutti i pianeti del Sistema solare, questo non ci avvicinerà di un passo (si fa per dire) alle stelle della nostra galassia, che sarebbero l'unica vera via d'uscita per i dieci o venti miliardi di uomini sottonutriti e isterici che popoleranno la Terra nel prossimo secolo. I viaggi spaziali, così come li abbiamo concepiti e realizzati, ci inchiodano nella nostra piccola gabbia, ci costringono a misurare concretamente i confini del nostro giardinetto. […] Né noi, né i nostri figli, né i nipoti dei nostri nipoti, esploreranno Rigel, combatteranno contro i Denebiani, scivoleranno in un universo parallelo, viaggeranno con macchine del tempo, troveranno, oltre la porta della cucina, la quarta dimensione. Questo ci dice, in sostanza, la conquista della Luna

— Fruttero e Lucentini

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