Nei paesi poveri

Nei paesi poveri le restrizioni rischiano di fare più danni dell’epidemia In Malawi le misure di restrizione agli spostamenti per ridurre il contagio da coronavirus (SARS-CoV-2) sarebbero dovute cominciare oggi. Un tribunale però ne ha rimandato l’entrata in vigore su richiesta di un gruppo di difesa dei diritti umani. Può sembrare paradossale, ma in un paese poverissimo, dove per molte persone non lavorare per un giorno significa non poter mangiare per un giorno, le restrizioni agli spostamenti possono avere conseguenze immediate gravissime. L’economia del Malawi, come quella di molti altri paesi africani e non solo, si basa in gran parte sugli scambi commerciali informali, cioè “in nero”: tolti i lavoratori del settore agricolo, tra il 30 e il 90 per cento dei lavoratori africani si mantiene grazie al commercio informale; questo settore contribuisce a più del 40 per cento del PIL di molti paesi. I paesi che hanno economie del genere non hanno strumenti di welfare (come la cassa integrazione o i sussidi di disoccupazione in Italia) per sostenere economicamente la popolazione durante una sospensione degli scambi commerciali. Per molte persone che abitano in paesi poveri, insomma, la scelta tra restare in casa attenendosi alle misure restrittive e uscire per lavorare non è una vera scelta. E per chi vive in grandi baraccopoli, con un limitato accesso all’acqua corrente, è molto difficile rispettare le regole di distanziamento sociale e di igiene. Questo è ovviamente un problema presente anche nei paesi occidentali, per le fasce più povere e deboli della popolazione. Ma nei paesi più sviluppati esistono, almeno in teoria, gli strumenti per raggiungere e aiutare queste categorie: nei paesi poveri spesso questa non è una possibilità nemmeno a livello teorico. Anche far rispettare le misure restrittive è complicato. I controlli delle forze dell’ordine sono limitati perché non c’è abbastanza personale e, quando avvengono, sono spesso usati metodi brutali. In Kenya la polizia pesta chi viola le restrizioni e ha sparato a un ragazzo di 13 anni, uccidendolo, solo perché era sul balcone di casa. In Nigeria, secondo i gruppi di difesa dei diritti umani, almeno 18 persone sono state uccise dai soldati impegnati nel far rispettare le restrizioni. L’impossibilità di rispettare le restrizioni per le persone in maggiore difficoltà ha poi un’altra grave conseguenza: una maggiore diffusione del virus. Si è visto in India: quando il governo ha annunciato che avrebbe introdotto un «completo lockdown», milioni di persone hanno lasciato le città dove lavoravano per andare nelle zone rurali, sperando che lì fosse più facile procurarsi di che vivere. È possibile che molti di loro abbiano portato il coronavirus con sé. (...) Le restrizioni sono consigliate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ma è una raccomandazione che non tiene conto delle situazioni socio-economiche dei singoli paesi. La cosa migliore, secondo gli esperti, sarebbero comunque dei grossi aiuti finanziari da parte dei paesi ricchi. Finora l’iniziativa più rilevante in questo senso è stata la decisione dei membri del G20 (19 tra i paesi più industrializzati del mondo e l’Unione Europea) di sospendere temporaneamente il pagamento del debito dei paesi più poveri, dal primo maggio alla fine del 2020. Ma non sarà sufficiente: servono fondi per l’acquisto di mascherine e altri dispositivi di protezione per i medici, strumenti per organizzare la quarantena per i malati, medicinali e vaccini, quando ci saranno, oltre a risorse alimentari per chi sarà più colpito dalla crisi economica. In questo momento di difficoltà generale è difficile immaginare che i paesi ricchi possano aiutare quelli in via di sviluppo meglio che in passato. In questa situazione però sarebbe molto importante anche per i loro interessi: se il coronavirus diventerà endemico nei paesi che non saranno in grado di eradicarlo, potrebbe continuare a circolare nel mondo più a lungo.

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