Bromberg

LA FABBRICA DELLA MORTE: LA STORIA DELL'IMPIANTO CHIMICO NAZISTA DI BYDGOSZCZ, DOVE LAVORARONO DECINE DI MIGLIAIA DI DEPORTATI DURANTE LA GUERRA. SOLO SETTEMILA SOPRAVVISSERO

Bydgoszcz, Cuiava-Pomerania. Più volte in passato città prussiana col nome tedesco di Bromberg, il grosso centro dell'odierna Polonia settentrionale è noto alle cronache ed alla storiografia soprattto per l'eccidio della "Domenica di sangue" del 3 settembre 1939, forse il primo dei crimini di guerra firmati Wehrmacht e che vide la fucilazione per rappresaglia di oltre 1000 civili polacchi (tra cui moltissimi boy-scout di età compresa tra i 12 e i 16 anni).
Bydgoszcz è tutt'ora, e soprattutto è stata, una città a spiccata vocazione industriale: sotto la Repubblica Popolare erano centinaia gli impianti chimici attivi in zona, in continuità con l'industria tedesca già insistente nell’area urbana al momento della ricostituzione della sovranità nazionale polacca.
Non sembra dunque casuale che ad alcuni km a nord del centro urbano, nel fitto di un bosco di betulle e sconosciuti anche a gran parte degli abitanti del luogo, si trovino i resti di un enorme impianto chimico del Terzo Reich, una fabbrica segreta per la produzione di nitroglicerina ed altri esplosivi, oggi detta "l'Exploseum".
La costruzione dell'impianto fu avviata in gran segreto sui territori della Polonia occupata già nell'autunno del '39, per opera del colosso della chimica DAG, azienda fondata dal padre della dinamite Alfred Nobel ancora nel 1876. Secondo un copione già noto e che si ripeterà in seguito, la grande impresa tedesca dimostrò non solo di saper proficuamente interagire col regime, ma anche di saper prontamente assecondare - e sfruttare a un tempo - le sue esigenze belliche o peggio di sterminio, in un'ottica sinergica fondata su vantaggi reciproci e un collaudato intreccio d'interessi.
Nei 24 ettari ritagliati dal filo spinato, all'ombra di una fittissima vegetazione si intreccia una incredibile rete di cunicoli lunga circa 400km, in un alternarsi di torri, capannoni, bunker e ciminiere per un totale di oltre 1.000 edifici. Qui, una cifra stimata tra i 20 e i 40mila tra abitanti del luogo e deportati di decine di nazionalità diverse, ebrei e non, furono costretti al lavoro forzato al servizio dell'industria bellica nazista. Solo 7.000 di loro sopravvissero.
Catturato dall'Armata Rossa nel '44, il complesso sarà prima sgomberato e poi fatto saltare in aria dai tecnici sovietici. Oggi è un museo, ma prima ancora un colossale monumento - fatto di silenzi, acciaio e cemento in rovina. Una cicatrice sulla mappa tormentata del nostro Novecento. l'ennesima, a memoria imperitura di quello che fu la catastrofe nazifascista per i popoli d‘Europa.

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