Eroi Pelosi

Sebbene a me non piaccia proprio la metafora bellica per la situazione di pandemia che stiamo vivendo, io stesso ho più volte omaggiato l’eroismo e l’abnegazione che molteplici donne e uomini (siano essi medici o operatori sanitari, oppure trasportatori o addetti alle vendite e operatori del commercio, fino ai volontari, a chi consegna a domicilio) mostrano ogni giorno attraverso delle storie prese dal mito antico riguardanti condottieri, valorosi guerrieri e atleti favolosi. Se vi chiedete perchè abbia scelto proprio il mito classico (greco e latino), la spiegazione ve la do attraverso un aforisma:

Anche se non si volesse credere alla verità che nascondono, è impossibile non credere alla loro incomparabile potenza simbolica. Nonostante la loro consunzione moderna, i miti restano, al pari della metafisica, un ponte gettato verso la trascendenza.
Ernst Jünger, in risposta alla domanda “lei crede nei miti?”.

La storia di oggi riguarda un personaggio storico, Aristomene di Messene (o Messenia, secondo altra grafia) che però fu mitizzato da un poema epico, la Messeniakà di Riano, un poeta e grammatico greco di età ellenistica (III sec. a. C.). Aristomene fu un valorosissimo generale nella guerra tra Sparta e gli abitanti della Messenia (combattuta tra il 685 e il 668 a.C.). Questa è la storia, di cui si sa poco. Molto più della leggenda, anche perchè Pausania il Periegeta ne riporta molti passaggi, essendo stato il poema di Riano, di cui non abbiamo che pochissime tracce, all’epoca famoso nella tradizione orale come l’Iliade di Omero.

Leggenda narra che Aristomene nacque dall’unione che Nicotelia, sua madre, ebbe con un serpente divino. Divenne un guerriero eccezionale, celebrando per tre volte il sacrificio detto Ekatomphonia (da cui deriva la parola ecatombe), riservato a chi fosse riuscito a uccidere 100 nemici. Nel corso della sua vita fu catturato più volte dagli Spartani, ma riuscì sempre a sfuggire. La prima volta venne preso sul monte Egila, presso un santuario dedicato a Demetra: furono proprio le sacerdotesse a catturarlo, ma la stessa notte una di queste, innamorata di lui, lo liberò. Una seconda volta si scontrò con la fanteria spartana, fu colpito con delle pietre, catturato con i suoi 50 uomini e condannato alla Keadas, cioè essere gettato dall'omonima rupe nei pressi di Sparta, dove leggenda vuole venissero gettati i bambini deformi e inabili alla guerra e i colpevoli dei crimini più efferati. Tutti i suoi 50 compagni morirono, ma Aristomene no perchè fu afferrato da una gigantesca aquila che lo posò delicatamente a terra sul fondo della voragine; qui disperato perchè circondato dall’oscurità e dai corpi dei morti, si rannicchiò nel suo mantello, aspettando la morte. Nel secondo giorno di attesa, si accorse che una volpe frugava tra i cadaveri: la afferrò per la coda e riuscì a trovare una via d’uscita. La notizia che fosse vivo sconvolse gli spartani, che iniziarono a pensare della sua natura “divina”. La terza volta fu catturato da un gruppo di arcieri cretesi: anche stavolta fuggì, perchè una bambina orfana del padre, ucciso dai cretesi, era con lui prigioniera nella stessa casa. La bambina sognò, la sera prima l’arrivo di Aristomene, di liberare un leone catturato dai lupi, e che il leone avesse poi sbranato i lupi. Incrociando lo sguardo fiero del generale capì quale fosse il senso “divino” del sogno. Così fece ubriacare i cretesi la sera stessa, rubò loro un pugnale e lo consegnò a Aristomene, che li uccise tutti e dette come sposo alla bambina suo figlio Gorgo.

Anche Aristomene perì: secondo Pausania, dopo che per anni nella città di Ira guidò la resistenza dei Messeni, morì per una malattia. Altri autori, tra cui Callistene e Plutarco che lo ricorda nel Catalogo di Lampria, danno un’altra versione: fu catturato finalmente dagli spartani, che ormai convinti di essere al cospetto di un essere non umano, lo squartarono vivo per vedere come fosse fatto dentro: trovarono che avesse il cuore peloso. Averlo era simbolo di immenso coraggio, forza e astuzia. Secondo Ippocrate e la scuola ippocratica infatti lo spirito dell'uomo è innato nel ventricolo sinistro del cuore il quale organizza tutte le qualità dell'animo. Avere i peli sul cuore significava avere molto thymos: questo termine indicava l’anima, il carattere, la volontà e più in generale tutti i sentimenti che, potremmo dire, danno calore vitale alle persone (in Omero, che ne parla in molti suoi eroi, era un misto di amore, gioia, piacere, compassione, collera, passioni).

Secondo le leggende, anche altri gloriosi uomini come Leonida, Lisandro, Epaminonda avevano il cuore peloso, che nei secoli però ha cambiato significato, diventando sinonimo di “durezza di spirito” più che di incredibile eroismo.

Va ricordato che ad Aristomene furono dedicati funerali celeberrimi: quando il suo corpo fu riportato in Messenia, fu deciso di sacrificare ogni anno un toro a Zeus presso la sua tomba: si legava l’animale ad una colonna, se questa fosse stata scossa e mossa dall’animale, sarebbe stato di buon augurio, se invece fosse rimasta ferma, erano preannunciate sventure.

Quando nel 371 a.C Tebani e Spartani combatterono nuovamente a Leuttra, gli spartani sopravvissuti alla sconfitta raccontarono che tra le file nemiche c’era un guerriero pieno di luce invincibile, che sterminò moltissimi soldati spartani: era Aristomene, che guidava la sua anima “viva” nel ricordo per l’odio che aveva per Sparta.

Fonte

Commenti

Etichette

Mostra di più