Questo è il tempo

Questo è il tempo. Familiare e intimo. La sua rapina ci porta. Il precipitare di secondi, ore, anni, ci lancia verso la vita, poi ci trascina verso il niente… Lo abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo. Pensiamo comunemente il tempo come qualcosa di semplice, fondamentale, che scorre uniforme, incurante di tutto, dal passato verso il futuro, misurato dagli orologi. Nel corso del tempo si succedono in ordine gli avvenimenti dell’universo: passati, presenti, futuri; il passato è fissato, il futuro aperto… Bene, tutto questo si è rivelato falso. Gli aspetti caratteristici del tempo, uno dopo l’altro, sono risultati essere approssimazioni, abbagli dovuti alla prospettiva, come la piattezza della Terra o il girare del Sole. Il crescere del nostro sapere ha portato a un lento sfaldarsi della nozione di tempo. Quello che chiamiamo «tempo» è una complessa collezione di strutture, di strati. Studiato via via più in profondità, il tempo ha perso questi strati, uno dopo l’altro, un pezzo dopo l’altro. Resta alla fine un paesaggio vuoto e ventoso che sembra aver perso quasi traccia di temporalità. Un mondo strano, alieno; ma il nostro mondo. Un mondo essenziale che riluce di una bellezza arida, tersa e inquietante. Il mondo senza tempo. Non c'è un tempo più vero. Ce ne sono legioni. Un tempo diverso per ogni punto dello spazio. Non c'è un solo tempo. Ce ne sono tantissimi. La fisica non descrive come evolvono le cose “nel tempo”. Bensì come evolvono le cose nei loro tempi e come evolvono “i tempi” l'uno rispetto all'altro. Intrecciano danze a ritmi diversi, le cose del mondo. Ma passato e futuro sono diversi. Cause precedono effetti. Il dolore segue la ferita, non la anticipa. Il bicchiere si rompe in mille pezzi e i mille pezzi non riformano il bicchiere. Il passato non possiamo cambiarlo; possiamo avere rimpianti, rimorsi, ricordi di felicità. Il futuro invece è incertezza, desidero, inquietudine, spazio aperto, forse destino. Possiamo viverlo, sceglierlo, perché ancora non è; tutto vi è possibile… È questo che ci sta a cuore del tempo. È questo il cuore del tempo. Questo scivolare che sentiamo bruciare sulla pelle, nell'ansia del futuro, nel mistero della memoria; qui si nasconde il segreto del tempo: il senso di quello che intendiamo, quando pensiamo il tempo. Dov'è annidato nella grammatica del mondo? Cosa distingue il passato, e il suo essere stato, dal futuro, e il suo non essere ancora stato, fra le pieghe del meccanismo del mondo? Perché il passato ci è così diverso dal futuro? La fisica del XIX e XX secolo si è scontrata con queste domande ed è incappata in qualcosa di inaspettato è sconcertante. La differenza tra passato e futuro nelle leggi elementari che descrivono i meccanismi del mondo non c'è. Nelle equazioni elementari del mondo, la freccia del tempo appare solo quando c'è calore. In tutti i fenomeni che diventano assurdi se proiettati all'indietro c'è qualcosa che di scalda, perché per il secondo principio della termodinamica il calore passa solo dai corpi caldi ai corpi freddi, mai viceversa. La quantità che misura questo irreversibile andare del calore in una direzione sola si dice “entropia”. È l'unica equazione della fisica fondamentale che conosce la differenza tra passato e futuro. La sola che ci parla del fluire del tempo. Aristotele è il primo di cui abbiamo conoscenza che si è posto il problema di cosa sia il tempo, ed è arrivato a questa conclusione: il tempo è la misura del cambiamento. Nel mondo il cambiamento è ubiquo, senza che gli innumerevoli accadimenti si dispongano necessariamente in bell'ordine. Ma sono avvenimenti, cambiare, accadere. La differenza fra cose e eventi è che le cose permangono nel tempo. Gli eventi hanno durata limitata. A ben guardare, infatti, anche le “cose” non sono in fondo che lunghi eventi. Il sasso più solido, alla luce di quello che abbiamo imparato dalla chimica, dalla fisica, dalla mineralogia, dalla geologia, dalla psicologia, è in realtà un complesso vibrare di campi quantistici, un interagire momentaneo di forze, un processo che per un breve istante riesce a mantenersi in equilibrio simile a se stesso, prima di disgregarsi di nuovo in polvere, un capitolo effimero nella storia delle interazioni fra gli elementi del pianeta, una traccia di un'umanità neolitica, un'arma dei ragazzi della via Pál, un esempio in un libro sul tempo, una porzione di una partizione del mondo che dipende dalle strutture percettive del nostro corpo più che dall'oggetto della percezione, e via via, un nodo intricato di quel cosmico gioco di specchi che è la realtà. Il mondo non è fatto di sassi più di quanto sia fatto di suoni fugaci e di onde che corrono sul mare. Funziona pensare il mondo come rete di eventi. Capiamo il mondo studiando il cambiamento, non studiando le cose. Capiamo il mondo nel suo divenire, non nel suo essere. L'incessante accadere che affatica il mondo non è ordinato da una linea del tempo. È una sterminata e disordinata rete di eventi quantistici. Quello che ci confonde è solo il fatto che la nostra grammatica è organizzata intorno a una distinzione assoluta “passato-presente-futuro”. La struttura della realtà non è quella che questa grammatica presuppone. Per descrivere il mondo non serve la variabile tempo. Servono variabili che lo descrivono: quantità che possiamo osservare, percepire, eventualmente misurare. La lunghezza di una strada, l'altezza di un albero, la temperatura di una fronte, il peso di un pane, il colore del cielo, il numero delle stelle nella volta celeste, l'elasticità di un bambù, la velocità di un treno, la pressione di una mano su una spalla, il dolore di una perdita, la posizione di una lancetta, l'altezza del sole sull'orizzonte… Questi sono i termini con cui descriviamo il mondo. Se troviamo abbastanza variabili che restano abbastanza sincronizzate tra loro, è comodo usarle per parlare del “quando”. La dinamica del mondo è data dall'equazione che stabilisce quali relazioni ci sono fra tutte le variabili che lo descrivono. Tutte sullo stesso piano. È la forma elementare della meccanica del mondo, e non ha bisogno di parlare di “tempo”. Il mondo senza variabile tempo non è un mondo complicato. È una rete di eventi interconnessi, dove le variabili in gioco rispettano regole probabilistiche, che incredibilmente sappiamo in gran parte scrivere. È un mondo terso, ventoso è pieno di bellezza come le cime delle montagne, come la bellezza arida delle labbra screpolate delle adolescenti. Ma se nella dinamica elementare del mondo tutte le variabili sono equivalenti, cos'è quella cosa che noi umani chiamiamo “tempo”? Cosa misura il mio orologio? Cosa scorre sempre in avanti e mai indietro, e perché? Tutta la differenza tra passato e futuro si può far risalire al solo fatto che l'entropia del mondo era bassa nel passato. Perché l'entropia era bassa nel passato? Fra noi e il resto del mondo ci sono interazioni fisiche. Ovviamente non tutte le variabili del mondo interagiscono con noi o con il pezzo del mondo a cui apparteniamo. Quindi la nostra visione del mondo è sfocata. Perché le interazioni fisiche tra noi e la parte di mondo a cui accediamo e apparteniamo sono cieche a molte variabili. Dalla sfocatura nascono i concetti di calore ed entropia, e a questi sono legati i fenomeni che caratterizzano il fluire del tempo. Osserviamo l'Universo dall'interno, interagendo con una minuscola porzione delle innumerevoli variabili del cosmo. Ne vediamo un'immagine sfocata. Questa sfocatura implica che la dinamica dell'universo con cui interagiamo sia governata dall'entropia. Misura qualcosa che riguarda noi, più che il cosmo. È rispetto alla drammatica sfocatura prodotta dalle nostre interazioni con il mondo, rispetto al piccolo insieme di variabili nei termini delle quali noi descriviamo il mondo, che l'entropia dell'universo era bassa. La bassa entropia iniziale dell'universo, e quindi la freccia del tempo, potrebbe essere dovuta a noi, più che all'universo. Forse, quindi, il fluire del tempo non è una caratteristica dell'universo: come il roteare della volta stellata, è la prospettiva particolare dell'angolo di mondo a cui apparteniamo. È il crescere dell'entropia dell'universo che trascina la grande storia del cosmo. L'intero divenire cosmico è un graduale processo di disordine. Quello che fa accadere gli eventi del mondo, che scrive la storia del mondo, è l'irresistibile mescolarsi di tutte le cose. L'universo intero è come una montagna che crolla pian piano. Come una struttura che si sfalda gradualmente. Esistono tracce del passato e non del futuro solo perché l'entropia era bassa nel passato. Per lasciare una traccia è necessario che qualcosa di arresti, smetta di muoversi, e questo può avvenire solo con un processo irreversibile, cioè degradando energia in calore. Per questo i computer si scaldano, il cervello si scalda, le meteore cadute sulla luna si scaldano e perfino la piuma d'oca degli amanuensi nelle abbazie benedettine del Medioevo scalda un poco la carta dove posa l'inchiostro. In un mondo senza calore tutto rimbalza via elastico e nulla lascia traccia di sé. È la presenza di abbondanti tracce del passato a produrre la sensazione familiare che il passato sia determinato. L'assenza di analoghe tracce del futuro produce la sensazione che il futuro sia aperto. Inesorabilmente, lo studio del tempo non fa che riportarci a noi. Il nostro presente pullula di tracce del nostro passato. Noi siamo storie per noi stessi. Io sono i miei pensieri pieni di tracce della frase che sto scrivendo, sono le carezze di mia madre, la dolcezza serena con cui mio padre mi ha guidato, sono i miei viaggi adolescenti, le mie letture che si sono stratificate nel mio cervello, i miei amori, le mie disperazioni, le mie amicizie, le cose che ho scritto, ascoltato, i volti che sono impressi nella mia memoria. Se tutto questo sparisse, io esisterei ancora? Io sono questo lungo romanzo che è la mia vita. In questo senso noi esistiamo nel tempo. Capire noi stessi significa riflettere sul tempo. Ma capire il tempo significa riflettere su noi stessi. La consapevolezza del passare del tempo è interna. È parte della mente. C'è la possibilità che il tempo possa esistere solo nella mente. Proust è esplicito: “La realtà si forma soltanto nella memoria”, scrive. E la memoria è una collezione di tracce, un prodotto indiretto del disordinarsi del mondo. Siamo storie, contenute in quei venti centimetri complicati dietro ai nostri occhi, linee disegnate da tracce lasciate dal rimescolarsi delle cose del mondo, e orientate a predire accadimenti verso il futuro, verso la direzione dell'entropia crescente, in un angolo un po’ particolare di questo immenso disordinato universo. Questo spazio, la memoria, insieme al nostro continuo esercizio di anticipazione, è la sorgente del nostro sentire il tempo come tempo, e noi come noi. Il tempo è allora la forma con cui noi esseri il cui cervello è fatto essenzialmente di memoria e previsione interagiamo con il mondo, è la sorgente della nostra identità. E del nostro dolore. Perché quello che abbiamo e a cui ci attacchiamo poi lo perdiamo. Perché tutto quello che inizia poi finisce. Questo è il tempo e per questo ci affascina e ci inquieta. Perché non è altro che una labile struttura del mondo, ciò che ha la caratteristica di dare origine a quello che noi siamo: esseri fatti di tempo. La nostra comprensione della natura è aumentata vertiginosamente lungo i secoli, e stiamo continuando ad imparare. Ma qualcosa intravediamo del mistero del tempo. Possiamo vedere il mondo senza tempo, vedere con gli occhi della mente la struttura profonda del mondo dove il tempo che conosciamo non esiste più. E cominciamo a vedere che il tempo siamo noi. Siamo questo spazio, questa radura aperta dalle tracce della memoria dentro le connessioni dei nostri neuroni. Siamo memoria. Siamo nostalgia. Siamo anelito verso un futuro che non verrà. Questo spazio che viene così aperto dalla memoria e dall'anticipazione è il tempo, che forse talvolta ci angoscia, ma che alla fine è un dono. Un miracolo prezioso che il gioco infinito delle combinazioni ha aperto per noi, permettendoci di essere. Possiamo sorridere. Possiamo tornare a immergerci serenamente nel tempo, nel nostro tempo che è finito, ad assaporare l'intensità chiara di ogni fuggevole e prezioso momento di questo breve cerchio.

- C. Rovelli, “L’ ordine del tempo”
- U. Boccioni, “Stati d’animo - Quelli che restano”

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