Pietro Umberto Acciarito
IL 22 APRILE 1897 PIETRO ACCIARITO CERCÒ INVANO DI ACCOLTELLARE UMBERTO I
“ORA CI SARANNO MENO INGIUSTIZIE ED OPPRESSIONI PER CHI SOFFRE”, COSÌ, ANNI DOPO, COMMENTÒ IL REGICIDIO OPERATO DA GAETANO BRESCI
Pietro Umberto Acciarito era nato ad Artena, vicino Roma, nel 1871, il padre gli aveva dato quel secondo nome proprio in onore del sovrano per il quale provava una certa simpatia.
Ma il figlio non era dello stesso avviso.
Costretto ad abbandonare la scuola a causa delle umili condizioni della famiglia, Pietro divenne fabbro e aprì una piccola officina, ma continuò a seguire lezioni serali con grande abnegazione. Si avvicinò presto alle idee radicali e mostrò, a parole, un certo odio nei confronti del potere costituito. Arrestato una prima volta all’età di 18 anni, scontò sette giorni di carcere per possesso di un “compasso”. La sua vita proseguì regolarmente fino al 1897 quando fu costretto a chiudere la propria bottega per mancanza di commissioni. Ormai stanco delle terribili condizioni di vita, Acciarito decise di attentare alla vita del monarca. Il 22 aprile 1897, conscio che Umberto I si sarebbe recato presso l’ippodromo della capitale per festeggiare l’anniversario del suo matrimonio con la regina Margherita, si piazzò lungo il percorso. Attese la carrozza reale nei pressi di porta San Giovanni e poi si gettò a corpo morto verso il sovrano. Secondo alcune versioni perse l’equilibrio, secondo altre il re lo vide arrivare e fece in tempo a spostarsi. Fatto sta che Acciarito fallì. Cercò allora di fuggire ma venne arrestato poco lontano.
Subito le pubbliche autorità cercarono di utilizzare la vicenda per ordire una repressione di massa, ipotizzando l’esistenza di un complotto di cui l’attentatore era solo una pedina. Questo nonostante le chiare dichiarazioni di Pietro: “Io l’attentato che ho fatto, prima di tutto non c’è complotto e non sono stato spinto da nessuno, ma lo feci perché ero in miseria. Si buttano li milioni in Africa e il popolo ha fame perché mancano li lavori. È questa la questione: è la micragna.”
Non fu creduto e anzi venne presto arrestato un suo conoscente, Romeo Frezzi, reo di avere una fotografia dell’Acciarito a casa. Dopo tre giorni di interrogatori Frezzi morì. Seguirono veementi proteste e disordini popolari, che continuarono durante tutto il processo ad Acciarito.
Nel frattempo diversi anarchici furono arrestati e cinque di questi giunsero in tribunale a causa di una confessione estorta a Pietro con tutti i mezzi possibili. In sede di dibattimento, però, l’attentatore giurò che la confessione era figlia di violenze ed inganni mentre emersero prove false costruite dalla polizia. Alla fine i cinque furono assolti, mentre lui fu condannato all’ergastolo. Costretto ad una detenzione infame, che ne minò la salute fisica e mentale, venne infine dichiarato pazzo e trasferito al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, dove morì dopo quasi mezzo secolo di galera.
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