3 Ottobre 1935, la guerra d'Etiopia e i crimini coloniali

Questo giorno, 79 anni fa, l'Italia iniziava la guerra contro l'Impero d'Etiopia. Per preparare l'impresa coloniale il regime fascista non badò a spese e mise in piedi la più grande campagna coloniale della storia: fu una mobilitazione decisamente atipica per una campagna coloniale, con un numero di uomini e mezzi di gran lunga superiori di quelli che le altre potenze coloniali avevano utilizzato fino ad allora per conquistare territori immensamente più grandi.

Fu un conflitto altamente simbolico, dove il regime fascista impiegò una grande quantità di mezzi propagandistici con lo scopo di impostare e condurre una guerra in linea con le esigenze di prestigio internazionale e di rinsaldamento interno del regime stesso, volute da Benito Mussolini, con l'obiettivo a lungo termine di orientare l'emigrazione italiana verso una nuova colonia popolata da italiani e amministrata in regime di apartheid sulla base di una rigorosa separazione razziale.

E per giungere a questo risultato Mussolini e il regime non ebbero alcun scrupolo. Venne approvato e incentivato l'utilizzo di aggressivi chimici durante le operazioni convenzionali, mentre per cercare di mantenere il controllo delle regioni 'conquistate' si fece largamente uso di metodi repressivi, sia durante le operazioni di polizia coloniale, sia durante i tentativi di annientamento della resistenza etiopica. Episodi che ebbero il loro culmine durante le rappresaglie indiscriminate in seguito all'attentato a Graziani e nel massacro del convento copto di Debre Libanos.

Per ognuno di questi episodi, le forze armate (e in alcuni casi anche i civili) non seguirono le norme di diritto bellico, e infransero le convenzioni siglate dal loro paese. In quasi tutti questi casi, si era in presenza di autorizzazioni o di ordini provenienti dall'autorità politica.

C'è una tendenza, che riaffiora frequentemente negli studi e nell'opinione pubblica di questo paese, all'assoluzione dell'Italia e degli italiani. Gli episodi di cui fummo responsabili in Etiopia (ma anche in Libia e in Eritrea durante l'Italia liberale), sconfessano questa tendenza, la quale non può nemmeno essere spiegata con un semplice ''i colonialismi furono tutti uguali''.

Perché nel ripercorrere le vicende coloniali italiane in Africa non ci si può non rendere conto che gli atti inumani non mancarono neanche nelle nostre colonie. Tortura, trattamenti disumani, mancato rispetto delle persone e dei beni, detenzione, deportazione e trasferimenti forzati e illegali, distruzione e appropriazione di beni non giustificati da necessità militari, atti motivati dalla volontà di causare mera sofferenza, sparizioni forzate di persone, mancato rispetto del diritto ad un processo regolare e imparziale: tutto questo avveniva tanto per comportamenti diretti quanto omissivi, senza considerare il crimine di apartheid, solo perché riconosciuto nel 1973.

Difatti va tenuto ben presente come il razzismo fu un elemento determinante nell'Oltremare italiano. E l'Italia radicalizzò questo aspetto istituendo un vero e proprio sistema istituzionale e politico di separazione razziale normato e vincolato da una legislazione razziale, che non prevedeva alcuna cooperazione con i locali, ma la semplice ghettizzazione ed emarginazione che a lungo termine avrebbe dovuto portare ad un'Etiopia in totale regime di apartheid.

Non vi è dubbio quindi che l'Italia - come altre potenze coloniali - si macchiò di crimini, ma sminuirli perché ''lo avevano fatto anche gli altri'' impedisce di guardare alla complessità del fenomeno. I crimini coloniali devono quindi essere analizzati tenendo presente che essi sono legati alle istituzioni, alle attitudini e a comportamenti 'ordinari', i quali peraltro non possono essere relegati nel recinto lontano della storia coloniale, e quindi separati dalla storia nazionale. Nonostante abbiano avuto luogo oltremare, essi venivano dalla madrepatria, e nella madrepatria sono tornati e poi riesportati nei Balcani.

Ma dal punto di vista della storia italiana, quello che colpisce è però il 'triplice silenzio postcoloniale' (quello politico, dell'opinione pubblica e degli storici colonialisti), che per decenni ha dipinto il colonialismo italiano come 'esotico' e portatore di strade, ospedali e scuole che gli italiani avrebbero costruito per bontà d'animo (e non per soddisfare le esigenze della popolazione italiana nelle colonie).

Questo silenzio è stato efficace, anche se nel campo storiografica non sono mancati gli studi storici di Roberto Battaglia, Angelo Del Boca e Giorgio Rochat, che contribuirono a intaccare per primi il mito degli &lt;<italiani brava="" gente="">&gt;; e ciò è stato particolarmente grave se si pensa che il colonialismo italiano ebbe vita molto breve e si sviluppò in un periodo in cui le altre potenze iniziavano ad accettare una graduale decolonizzazione mentre i popoli africani stavano rialzandosi in piedi.

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Fonti bibliografiche:

- Nicola Labanca, 'Oltremare - Storia dell'espansione coloniale italiana'

- a cura di Luca Baldissara e Paolo Pezzino, 'Crimini e memorie di guerra' cap. 'Dominio e repressione. I crimini di guerra nelle colonie italiane'.

- Angelo Del Boca, 'Gli italiani in Africa orientale. Vol. II e III' https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Debre_Libanos https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Addis_Abeba

Fonte fotografica: 'Rodolfo Graziani guarda sorridente il ''trofeo'' che gli porge un sottoposto: la testa decapitata del l'ultimo degiac ribelle Hailù Chebbedé conservata in una scatola di biscotti.' (https://medium.com/@Lapsus/guerra-d-etiopia-imperialismo-e-desiderio-immagini-e-voci-per-dipingere-l-abissinia-e8091f3b6bdb)

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