Il supplizio di Franchetta Borelli, torturata dall'inquisizione
Triora è un piccolo paese arroccato nella Valle Argentina tra le Prealpi Liguri e la Terra di Francia. E’ un piccolo paese montano che ha sempre vissuto grazie alla pastorizia, alla coltivazione dei cereali ed è famosa tutt’oggi la produzione del pane. Deve il suo nome a “Tria-Ora” (tre bocche) che indica i tre principali prodotti del luogo ovvero: grano, vite e castagno. Il suo stemma araldico infatti raffigura Cerbero, il cane infernale a tre teste, che divenne il simbolo di questo paese nel 1750, dopo le vicende accadute alle streghe.
Nel 1587, Triora vide un periodo di carestie e aridità che il Consiglio degli Anziani sospettò essere opera di stregoneria e decise così di far intervenire gli inquisitori per far luce sui problemi emersi nel piccolo borgo. (...) Il paese dipendeva dal vescovo di Albenga e fu proprio Girolamo del Pozzo che era il vicario di Albenga a spingersi fino a Triora per preoccuparsi di questo caso. In altre contrade ad esempio nelle città di Mantova, Ferrara, Milano, Brescia e Venezia era stato messo in atto contro la stregoneria, o meglio ,per identificare le streghe responsabili di carestie e pestilenze, un sistema definito judicio, che si basa sulla denuncia anonima verso qualcuno, evitando così possibili ritorsioni.
In ogni chiesa c’erano delle cassette come quelle per le elemosina, nelle quali venivano inseriti i biglietti anonimi con i nomi delle presunte streghe, i luoghi e le ore dei raduni, che garantivano agli inquisitori più garanzie di successo nella cattura. (...) Proprio per la sua posizione di passaggio e l’isolamento di cui godeva Triora, arroccata sui monti, fu un luogo dove alcune tradizioni dei Pellegrini si radicarono e poterono anche rimanere nascoste a lungo, come ad esempio le pratiche di guarigione con la natura ma anche il contatto con il mondo numinoso, che si mantennero in segreto fino a che fu comodo accusare qualcuno per le carestie e le donne più povere e sole erano quelle più sottoposte a giudizio. Le streghe per loro natura, spesso vivevano libere dal matrimonio, senza quindi nessun uomo a proteggerle dalle accuse di stregoneria. (...)
Convocato dal Consiglio degli Anziani, il vicario Del Pozzo arriva a Triora e immediatamente salì sul pulpito, iniziando la sua omelia per accusare tutti gli abitanti del borgo di essere complici delle strie e delle fattucchiere perché rivolgersi a loro per guarire o per attirare l’amato, incentivava la loro attività. Definisce addirittura la complicità con le streghe, un delitto contro la legge divina. Era sicuro che le indemoniate avessero generato la distruzione e la miseria di Triora e non perse tempo ad incitare i paesani a denunciare le streghe attraverso la cassetta del giudizio, per porre fine alle pratiche di queste donne malefiche, accusate di succhiare il sangue sia dalle mucche, che dalle donne, che dai bambini. Finita la sua omelia in chiesa incaricò alcuni suoi sottoposti di adibire alcune delle case di Triora, come prigione.
Probabilmente in un atto dimostrativo, catturò almeno 20 donne sospettate di avere a che fare con eresie e stregonerie. Girolamo del Pozzo sapeva bene che a Triora non vi erano delle streghe in mezzo a dei cattolici credenti, ma che invece tutto il paese si opponeva alla chiesa ecclesiastica e probabilmente anche alle istituzioni politiche, essendo una zona montana e quindi abbastanza lontana dalle dalle città, aveva conservato ancora le antiche tradizioni. Vista la situazione così grave il vicario era convinto dell’utilità della tortura per ottenere confessioni e nuovi nomi e fece allestire una stanza dei tormenti in una casa a Triora rinforzata da inferriate e controfinestre corazzate che vide interrogatori, supplizi come il cavalletto, il tormento degli aghi e del braciere. Tutti gli accusati e gli indiziati fornirono testimonianze forzate che coinvolsero anche altre donne, perché per salvarsi venivano invitati a fare altri nomi. Furono condannate 13 donne, quattro ragazze e un fanciullo, sia povere che di alto rango.
Fino al 1588 l’inquisizione aveva già analizzato ben 200 persone. Una donna, Isotta Stella di 60 anni, non aveva resistito alle torture e morì in carcere, un’altra si è gettata dalla finestra temendo di dover sopportare le torture e morì dopo poco. Molte furono storpiate, altre mutilate a causa delle torture che erano molto persuasive. Del Pozzo giustificava le torture atroci nelle sue relazioni che inviava al vescovo di Albenga, con il fatto che “ci fossero donne molto robuste per sopportare i supplizi, soprattutto quando queste non rinnegavano il diavolo e volevano attenderlo per sempre”. Il Vicario scrisse che “il braciere lo aveva usato in un solo caso nei confronti di quattro o cinque streghe che erano molto resistenti e poteva assicurare che il fuoco appiccato ai piedi non aveva superato il tempo massimo di un’ora”.
Concludeva quindi che “tutte le donne erano state trattate assai bene a carico della comunità e che i tormenti non avevano mai ecceduto la regola, e se qualcuna si riteneva danneggiata, perché storpiata o ustionata dai supplizi era colpa delle cure inadeguate ricevute dopo l’interrogatorio dei medici o dei familiari “. (...) Alla fine di Gennaio, Girolamo del Pozzo lascia Triora e nel mese di Maggio arrivò un dominicano inquisitore Alberto Fragarola per interrogare le prigioniere che smentirono di appartenere a una setta di streghe tranne una fanciulla di 13 anni che abiurò nella chiesa e così ottenne la liberazione e il perdono. (...)Franchetta fu una donna accusata di stregoneria che divenne la protagonista del racconto di tutta la vicenda di Triora.
Era molto bella, molto integrata nel borgo di Triora non che una donna importante e stimata. Era stata una donna libera soprattutto nella giovinezza, era ricca e invidiata e aveva anche molto potere politico. (...) Con la sua caccia si instaurò un clima di terrore in tutto il territorio: tredici donne erano ancora chiuse nelle carceri, tre erano morte durante le indagini, quattro processi erano conclusi e cinque donne condannate al rogo. Il commissario era ben deciso a sterminare quante più streghe possibili. Uno dei giorni più infausti fu il 22 Luglio del 1588 quando furono bruciate 4 donne che avevano confessato di essere streghe. Una certa Luchina fu accusata di stregoneria da un’altra donna, Pierina Bianchi.
Luchina fu torturata e morì per i tormenti suscitando l’indignazione di Scribani, convinto che il diavolo le avesse dato la morte per sottrarla a una giusta condanna. (...) sapeva che Franchetta della famiglia Borelli aveva fama di strega, così dopo l’arresto, all’età di 65 anni, cercò di estorcerle più informazioni possibili, sia sulle streghe del paese e sulle loro arti ma anche sui complici. Franchetta era una donna particolare che in gioventù era stata molto bella e aveva anche fama di essere di facili costumi. Il commissario la definì una meretrice . Ma la sua fama come donna non era legata solo alla sua natura, ma soprattutto alle sue doti di guaritrice: da lei andavano sia donne che uomini, ma anche i medici ufficiali che volevano imparare il mestiere. (...)
La tortura consisteva nell’ uso del cavalletto, detto anche eculeo ovvero uno strumento per tirare il corpo della vittima. Durante questo tipo di tortura generalmente le membra del corpo si slogavano producendo un terribile dolore. Oltre alla tortura c’era anche l’umiliazione perché Franchetta, come le altre donne, venivano spogliate, rapate in testa e rasate in ogni parte del corpo perché la peluria e i capelli potevano nascondere il marchio del diavolo. Per legge la tortura doveva avere una durata precisa e Franchetta non versò una lacrima durante tutto il tempo e oltre, perchè come si sa, le sue torture durarono per molte ore. Secondo il manuale di demonologia questa manifestazione era il segno dell’appartenenza alla Setta diabolica.
Ogni tanto rideva o parlava tra sé e rimase per cinque ore nel tormento mentre le funi le slogavano gli arti. “Signor Dio mi aggiuterà, signore calatemi che la verità l’ho detta, il cuore mi manca Signore mandami l’angelo del cielo, il cuore mi schiatta, il Signore non mi lascerà fino a giorno perché manderà a chiamare la mia anima.” (...) “La verità l’ho detta signore. Fatemi levare di qui signore che io non ne posso più . Mi sento il cuore schiattare.” Erano trascorse quindici ore di supplizio, ma la buona fede dell’ indiziata non convinse comunque Scribani che si accanì ancora di più ordinando che oltre al cavalletto le fosse inferta la prova del fuoco. Furono messe delle braci sotto la pianta dei piedi, ma la donna disse di non avere niente a che fare col diavolo o con simili creature maligne.
Il commissario però voleva quella confessione a tutti i costi e chiese torture più persuasive. Uno degli assistenti che assisteva al supplizio lo fermo: “è una donna anziana, ha resistito mezza giornata sul cavalletto senza dire nulla, il suo corpo è fragile e se continuate la ucciderete.” Inoltre l’avvocato di Franchetta contestò tutte le accuse del giudice dicendo che le testimonianze e le accuse delle altre donne erano solo per invidia e i balli notturni solo sogni e illusioni. Scribani cedette. Una volta liberata, Franchetta fuggì dalla casa che le era stata assegnata come un carcere e si nascose per qualche tempo chissà dove ... Al suo ritorno fu messa subito in carcere, denudata e legata di nuovo al cavalletto. Scribani sadico e più cocciuto che mai la fece esaminare anche nelle parti vergognose per scoprire il marchio del diavolo che non fu mai trovato.
Neanche questo valse come prova della non appartenenza di Franchetta a una setta, ma servì solo ad attestare il grande potere di Franchetta come strega, capace di poter addirittura nascondere il marchio del diavolo e di sopportare le torture con grande compostezza. Fu torturata di nuovo, ancora con le slogature e le braci ma Franchetta iniziò a parlare del più e del meno con il giudice, con gli assistenti, con il carnefice e con i dottori. Sembrava che se ne prendesse gioco e a metà della giornata, dopo 12 ore di tortura disse: “Franchetta deve stare qui due o tre ore in più, cosa importa ormai.”
...Scribani redasse un verbale per il tribunale di Genova. Si legge che “Franchetta Borelli con questa ultima tortura aveva purgato tutti gli indizi contro di essa e quindi non poteva più essere perseguitata” . Venne quindi liberata da un giudice, il Caracciolo, che nello stesso verbale di assoluzione affermava che “l’imputata doveva essere rilasciata perché nessuna legge neppure quella militare permetteva ai giudici di continuare a frugare negli corpi umani per trovare la verità”. Questo documento testimonia la paura dei giudici inquisitoriali ma anche la loro fissazione e il loro sadismo. Furono obbligati per legge a lasciare Franchetta ma continuano a credere che fosse una strega. ...Triora rimase selvaggia e inafferrabile. I libri proibiti continuano a girare tra la comunità montana e le bagiue continuano a incontrarsi vicino alle fontane e ai corsi d’acqua .
laliant.wordpress
Commenti
Posta un commento