Deforestazione

In 13 anni di deforestazione distrutta un’area grande come la California. In 13 anni è stata cancellata un’area estesa come la California e circa due terzi della deforestazione globale, tra il 2000 e il 2018, è avvenuta in aree tropicali e sub-tropicali. È quanto emerge da uno studio pubblicato dal WWF, ‘Fronti di deforestazione: cause e risposte in un mondo che cambia’, nel quale si analizzano, appunto, i 24 principali fronti di deforestazione concentrati in 29 Paesi tra Asia, America Latina e Africa. In tutto una superficie forestale di 377 milioni di ettari (circa un quinto del totale). Tra il 2004 e il 2017 oltre il 10% di questo patrimonio è andato perduto: si tratta di circa 43 milioni di ettari. Per avere un’idea, l’Italia è grande circa 30 milioni di ettari. E quasi la metà della foresta ancora in piedi (circa il 45%) ha comunque subito frammentazioni. (...) L’agricoltura rimane la prima causa di deforestazione, soprattutto in America Latina e in Asia, dove predominano – spiega lo studio – l’espansione delle coltivazioni arboree e dell’agricoltura legata sia alla domanda mondiale che ai mercati interni. Aumenta anche la pressione dei piccoli coltivatori, specialmente in Africa. L’estrazione del legname – sia in forma legale che illegale – rimane un fattore significativo, anche se in forma ridotta rispetto al passato, e spesso precede la deforestazione per altri scopi. Una causa sempre più ricorrente è la crescente espansione delle reti stradali, che collegano le zone di sfruttamento a quelle adibite all’esportazione e al rifornimento dei mercati interni. “Ma i fronti si espandono anche a causa della pressione delle operazioni minerarie non industriali e dell’aumento degli insediamenti umani all’interno degli ecosistemi naturali”, scrive il WWF. Tra le cause c’è anche l’accaparramento di terreni di proprietà pubblica, guidato dalla speculazione. (...) Secondo lo studio le risposte arrivate da singoli territori, pur contribuendo ad arrestare la deforestazione “non hanno potuto evitare il trasferimento delle pressioni su altri ecosistemi, come savane e prateria”. Le misure che hanno riguardato la produzione di materie prime o intere filiere, invece, “non raggiungono ancora un livello di diffusione capace di modificare la situazione” soprattutto a causa della limitata partecipazione di chi è all’apice di queste filiere. Ma queste risposte, applicate singolarmente, non bastano: le soluzioni più efficaci sono quelle combinate tra loro e che spesso vedono una collaborazione tra pubblico e privato. Il report rileva anche l’importanza del ruolo dei cittadini “che non posso ignorare il rapporto tra i loro comportamenti e la deforestazione”. “Vanno ridotti i consumi di carne e di prodotti contenenti le materie prime incriminate, come soia e olio di palma, sottolinea l’organizzazione, e vanno preferiti quelli che dimostrano in etichetta una provenienza estranea alla deforestazione. Diverse le azioni urgenti da mettere in campo, come la tutela delle popolazioni indigene. Ma non solo, anche la conservazione delle aree ricche di biodiversità e un impegno più concreto da parte di aziende e istituzioni finanziarie per un obiettivo ‘zero deforestation’, sono da applicare. Il WWF chiede che il blocco della deforestazione sia riconosciuto anche come strategia per la lotta al cambiamento climatico, insieme a un nuovo patto (un New Deal for Nature and People) “che avvii la ripresa della natura e definisca il percorso per un vero sviluppo sostenibile, una società equa e un’economia che non produca arricchimento di carbonio nell’atmosfera”. 

di Luisiana Gaita

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