L’inclinazione di Silvia

Leggeva con interesse qualsiasi libro che le capitasse sotto mano, ma con particolare trasporto e godimento le storie dei viaggi e le biografie; e quando le mancavano libri nuovi, rileggeva quelli che l’avevano più commossa. Per sventura della pace familiare quella sua predilezione doveva diventare più tardi il principale motivo di dissapore col marito, o almeno il pretesto e l’incentivo allo sfogo dei risentimenti di lui. A dire la verità, l’inclinazione di Silvia al leggere e al fantasticare era ben nota a Ludovico fin da quando erano fidanzati, ma allora egli ne menava addirittura vanto. «La mia futura moglie» ripeteva «dovrà essere una signora e non una serva.» I primi anni di vita matrimoniale erano trascorsi comunque normalmente sereni; seguirono però alcune annate in pura perdita per il podere, a causa di un’epidemia di afta delle vacche e di alcune grandinate, e gli umori di lui cominciarono a inasprirsi; la dolcezza di lei cominciò a sembrargli ipocrisia e fiacchezza; la timidezza ignavia, e gli bastava di sorprendere la moglie con un libro in mano per dare in escandescenze.

Chi avesse assistito a quegli scontri, sempre più aspri, fra lui che tornava dal lavoro, sudato sporco stanco, e la moglie, nella loggia o nella stanza di soggiorno secondo la stagione, distesa su un divano, intenta a leggere, come estranea alle angustie dell’ambiente in cui viveva, sarebbe stato facilmente tentato di dare ragione all’uomo. Ma la sua poca o molta ragione era compromessa dal pessimo modo come cercava di farla valere. Ben presto egli non ebbe più ritegno di biasimare e deridere la moglie anche in presenza dei figli, come “fantastica”, “testa nelle nuvole”, e anche “parassita”. Infine, pur di impedirle di procurarsi nuovi libri, egli non esitò a ricorrere a espedienti piuttosto meschini, privandola d’ogni denaro per uso personale e dando ordine al procaccia postale di consegnare a lui tutti i pacchi indirizzati a qualsiasi membro della famiglia. Ma furono stratagemmi effimeri. Per vie non del tutto chiare, la signora continuò anche in seguito a disporre di nuovi libri, sia in prestito da biblioteche pubbliche, sia mediante lo scambio di libri vecchi con botteghe a ciò specializzate; e tutto ciò in modo altrettanto invisibile e silenzioso, quanto rapido. Senonché Ludovico non era un capofamiglia da dichiararsi battuto nell’interno della propria casa.

Contro le sempre più frequenti e violente rampogne del marito, la povera signora non poteva invocare a propria difesa che la buona qualità delle sue letture.

«Tra i miei libri» essa gli ripeteva «non ve n’è uno solo che sia licenzioso o volgare; puoi verificarlo tu stesso.»

Ludovico era però dell’opinione che ogni genere di lettura, anche la più innocente, è fomite di dissipazione. 

Ignazio Silone, La volpe e le camelie, Mondadori (collana Oscar n° 562), 1977; pp. 27-29.

[1ª edizione originale: Mondadori, 1960]


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