Scimmia

Eugenio Finardi l’ho sempre amato, per i testi impegnati e per quel suo essere sempre stato in guerra con le case discografiche (alcuni anni fa fece scalpore una sua dichiarazione che recitava: «L'arroganza dei discografici è diventata ormai insopportabile. L'artista oggi non è più libero di scegliere le canzoni che preferisce, di scrivere quello che effettivamente sente dentro e vuole trasmettere al suo pubblico. Per i discografici esiste solo il mercato ed il valore di un disco si misura soltanto dal numero di copie che riesce a vendere, peraltro a prezzi vergognosamente alti. E chi si ribella a questo sistema dopo un po' deve cambiare mestiere»).

Per questi motivi, secondo lo scrivente, Finardi ha ottenuto meno di quello che meritava. Tra le tante, bellissime, canzoni una sconvolse la mia vita di adolescente: Scimmia, la canzone più penetrante, al pari di Heroin dei Velvet Underground, sugli effetti dell’eroina. Chiunque l’abbia ascoltata non può non aver provato un brivido, uno shock. Sicuramente chi è passato dall’inferno, quell’inferno lo racconta meglio di chi lo ha studiato o vissuto da spettatore. La canzone nasce nel periodo in cui, in Italia ma non solo, si fa largo uso della nuova droga, l’eroina. Perché, tornando indietro nel tempo, o riavvolgendo il nastro in questo caso, poco dopo l’inizio degli anni settanta compare nelle strade e nelle piazze una nuova droga, il cui consumo in breve tempo comporta la scomparsa delle altre droghe, comprese quelle leggere. Quella droga, l’eroina, nel ventennio successivo provocò la morte di tantissimi ragazzi, tanto da far coniare il termine di “generazione scomparsa”. Scimmia, come Heroin, sembrano canzoni di un’altra epoca, di un tempo che pensavamo, appunto pensavamo, scomparso. Dimenticato nelle pagine di qualche libro o nelle note di qualche canzone. Purtroppo no. Negli ultimi anni il consumo di eroina è tornato ad aumentare; le morti causate da questa droga rappresentano oltre il 60% del totale dei decessi per uso di sostanze stupefacenti. Ma il dato più preoccupante è relativo al fatto che i morti raddoppiano ogni anno. Abbiamo abbassato la guardia. Abbiamo combattuto battaglie sbagliate. Abbiamo permesso il ritorno di una droga letale che chi, come lo scrivente, ha conosciuto gli anni ottanta da adolescente ricorda benissimo. La fotografia che accompagna questo breve scritto è un celebre scatto della Milano di fine anni settanta, zona Bovisa, e ritrae un ragazzo di sedici anni morto di overdose. Mi auguro che si torni a combattere le giuste battaglie per non dover identificare qualche ragazzo dei nostri nella tremenda posa della morte. Una curiosità: "avere la scimmia sulla schiena" è una frase di origine americana; il detto deriva da “Monkey on one’s back” e vuole indicare lo stato di astinenza di una persona che fa uso di sostanze. Nacque in riferimento ai problemi di alcolismo: la fantasia popolare vedeva l’alcolizzato come vittima di una scimmia che gli stava appollaiata sulle spalle e lo invitava, pressata dal proprio bisogno, a bere. Se l’“ospite” declinava l’invito l’animale subito si vendicava facendolo star male graffiandogli il viso e tirandogli i capelli. La vendetta della scimmia, oggi, si potrebbe “identificare” nel gravissimo disagio di colui che si trova in crisi di astinenza.

Fabio Casalini

I viaggiatori ignoranti 

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