Il naufragio della kater

IL 28 MARZO 1997 81 MIGRANTI ALBANESI PERSERO LA VITA NEL NAUFRAGIO DELLA KATER, LA NAVE DI PROFUGHI SPERONATA DALLA MARINA MILITARE ITALIANA

Nel 1992, al momento del crollo del regime che aveva retto l’Albania per cinquant’anni, il Paese era ormai al collasso economico e sociale. Enver Hohxa, morto nel 1985, aveva lasciato una nazione arretrata e isolata a livello internazionale. Il passaggio dalla vecchia economia dirigista e statale ad un’economia di mercato fu gestito in modo superficiale. A farne le spese furono ancora una volta le masse popolari. Nel 1997 la situazione già precaria collassò dopo la crisi delle cosiddette “piramidi finanziarie”, ovvero il fallimento di imprese che fornivano alti tassi di interesse utilizzando sistemi d’investimento ingannevoli. I risparmi di molte famiglie vennero polverizzati, mentre il malcontento generale portò ad una vera e propria insurrezione. Molti arsenali militari vennero requisiti dai rivoltosi che presero il controllo di intere città. In questo quadro di disordini generali la criminalità organizzata aumentò la propria influenza e diversi civili furono vittime di lotte tra bande.

Questo caos non fece altro che aumentare il fenomeno migratorio attivo dal 1992. Pur di abbandonare un paese al collasso, gli albanesi erano disposti a salire anche su vecchie e fatiscenti imbarcazioni procurate dagli scafisti. Tra queste la Kater I Rades, un natante che stracolmo di persone il 28 marzo 1997 lasciò il porto di Valona. In quel periodo già migliaia di profughi erano arrivati in Italia e il governo Prodi, invece di consentire la creazione di corridoi umanitari per persone che fuggivano da una guerra civile, preferì negoziare separatamente un accordo con lo Stato albanese per creare un blocco marittimo.

Per questo navi della marina italiana perlustravano il canale di Otranto con l’ordine di dissuadere la traversata delle cosiddette “carrette del mare”. La Kater I Rades fu così intercettata prima dalla fregata Zefiro, che gli intimò senza successo di fare ritorno in Albania, e poi dalla corvetta Sibilia che iniziò ad avvicinarsi con cerchi concentrici fino alla collisione. Seguì rapido l’affondamento. Dei circa 140 profughi presenti sull’imbarcazione, almeno 81 morirono in mare (più di cento secondo altre stime). La marina militare parlò di tragico indicente dovuto al mare grosso. Sicuramente la Sibilla non aveva rispettato la distanza di sicurezza indispensabile in certe situazioni.

L’Italia uscì malissimo dalla vicenda sul piano internazionale. Aveva negoziato, senza alcun mandato ONU, un accordo illegale con un governo, quello di Berisha, che controllava in quella fase meno di un terzo del territorio albanese ed era intervenuta fuori dalle proprie acque territoriali. La corte dei diritti dell’uomo ritenne l’Italia responsabile dell’accaduto e il Tribunale di Brindisi condannò i comandanti italiano e albanese per naufragio e omicidio colposo.

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