Le marce della morte

“CHI INDUGIAVA VENIVA IMMEDIATAMENTE PASSATO PER LE ARMI”
LE MARCE DELLA MORTE, LA DEPORTAZIONE E L’INTERNAMENTO DI 100 000 LIBICI - DI CUI 40.000 MORIRONO - DURANTE LA RICONQUISTA FASCISTA DELLA LIBIA

“Non furono ammessi ritardi durante le tappe. Chi indugiava, veniva immediatamente passato per le armi. Un provvedimento così draconiano fu preso per necessità di cose, restie come erano le popolazioni ad abbandonare le loro terre ed i loro beni. Anche il bestiame che, per le condizioni fisiche, non era in grado di proseguire la marcia, veniva immediatamente abbattuto dai gregari a cavallo del nucleo irregolare di polizia che avevano il compito di proteggerlo e di custodirlo.”

Questa descrizione, tratta direttamente da una relazione dell’esercito italiano, è riportata dallo storico Angelo del Boca per raccontare una delle marce della morte a cui furono sottoposti diversi gruppi etnici libici nel corso del 1930.

Il regime fascista, ancora giovane, ridiede impulso alla campagna di riconquista e consolidamento della colonia libica, che l’Italia liberale aveva invaso nel 1911 ma che controllava solo in minima parte. La Cirenaica e la Tripolitania che già erano state oggetto di episodi criminali compiuti dalle autorità italiane nel corso della guerra italo-turca, tornarono così ad essere al centro delle operazioni militari.

Fu proprio in Cirenaica che gli italiani incontrarono la resistenza più accanita, sostenuta anche dalla collaborazione delle popolazioni autoctone. Il generale Badoglio allora, in accordo con De Bono, ministro delle colonie , ordinò al generale Graziani - che sul territorio seguiva le operazioni - di provvedere alla deportazione dal Gebel Achdar e dalla Marmarica di gran parte degli abitanti. Quest’ultimi erano destinati a riempire i campi di internamento situati per lo più a sud di Bengasi. Si trattava di percorrere mille chilometri senza mezzi, attraversando territori inospitali, sotto la pressione degli occupanti. Occupanti che come descritto dal documento sopra citato non si facevano problemi a passare per le armi chiunque non tenesse il passo, compresi vecchi, bambini e donne.

Dopo lunghissime marce della morte diverse colonne di libici arrivarono nei campi di prigionia italiani. Dei centomila internati solo sessantamila sarebbero sopravvissuti alle terribili condizioni di vita. Un pugno di riso o farina al giorno per sfamarsi, mentre le botte e le epidemie non mancavano mai. I prigionieri che avevano compiuto atti di ribellione, avevano tentato la fuga o si erano rifiutati di lavorare venivano fucilati, spesso a mezzogiorno al centro dei campi, così che tutti potessero assistere.

I campi di prigionia furono smantellati solo quando gli ultimi focolai di ribellione in Cirenaica vennero spenti. Come detto in precedenza quarantamila internati non fecero mai più ritorno a casa.

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