Tutto è santo

 Premessa

"Tutto è santo" ripeteva, con una suasiva litania, il centauro di Pasolini, rivolgendosi a un Giasone fanciullo, ancora immerso nell’innocenza degli anni e nell’esultanza di incontrare il mistero della realtà. Quell'essere mitico e arcaico insegnava al bimbo quali fossero le potenze invisibili del cosmo: gli insegnava a percepirle, a vederle e a onorarle, perché quella era l'armonia del tutto. Crescendo, Giasone dimenticò quella lezione, si lasciò dietro le spalle quel mondo, per trapassare in un universo fatto di razionalità calcolante e strumentale, che reifica, allo stesso modo, natura ed esseri umani: un universo di cose mute, senza centro, dove il Centauro e tutti gli esseri come lui non possono che perdere la loro voce. E, tuttavia, anche il modello di questa razionalità dominatrice, su cui il regno della quantità si è forgiato ed è cresciuto per alcuni secoli, mostra ormai i segni evidenti della sua crisi, nonchè dei suoi limiti esiziali: per quanto ancora agito nella prassi, esso ha perso ogni sua storica legittimazione, sprofondando in quel gorgo del postmoderno, in cui, come tante volte ci è stato ripetuto, grandi narrazioni, ideologie, strutture di pensiero e forme di soggettività sono stati portati a termine e sgretolati in una nuvola di frammenti che aleggiano nell'aria. Età convulsa di transizioni e di trasformazione radicali in cui la percezione dell'essere "dopo" si congiunge allo smarrimento di chi si sente imbarcato su una zattera e non vede ancora alcuna terra all'orizzonte. Niente può più essere come prima, ma nulla di definito, di nominabile con sicurezza, sembra ancora profilarsi per essere riconosciuto. Nelle sue contraddizioni e nei suoi conflitti, nel suo gioco spettrale di larve e di inattuabili promesse, il presente globale appare come un immane "opera al nero”, in cui le illusioni della modernità sono destinate a dissolversi in materia putrefatta, e forse anche l'uomo, così come è stato concepito per lungo tempo, è esposto alla cancellazione, "come sull'orlo del mare un volto di sabbia" (M. Faucault). Ma, nei punti di svolta, nel nero ribollire dell’atanòr, si liberano sempre anche germi e fermenti positivi che annunciano qualcosa d'”altro”: la possibilità di pervenire a un nuovo paradigma di pensiero, in cui digitale e analogico, razionalità e intuizione, fisico e psichico, mete immanenti e radici trascendenti, locale e globale, trovino una sintesi inedita e feconda. La possibilità di "re-incantare il mondo", non per tornare all'impossibile ingenuità dell'arcaico e del mitico, ma per saldare la sapienza della tradizione antica con le punte più avanzate di una nuova scienza: creare la realtà del "post", riaccendendo la “scintilla di simboli antichi ", nella rinnovata e diversamente concepita consapevolezza di un universo che non sia materia bruta, mossa da leggi meccaniche in un vuoto inerte, ma un tutto coerente e cosciente, un campo unificato, in cui in cui realtà fisica e realtà spirituale sono il medesimo: La rispiritualizzazione del cosmo - ha scritto, fra gli altri, Ervin Laszlo - come un'entità coerente e integrale proviene dalle più recenti scoperte delle scienze [...], ma il concetto di base non è nuovo: al contrario, è vecchio quanto la civiltà .

Da questo punto di vista, le immagini e i simboli dell'antico - portati su un diverso piano e spogliati delle superfetazioni ermeneutiche della modernità - possono offrire strumenti di una rigenerata soggettività. Parole come "anima" o "spirito" evocano plessi di dottrine e di morali, rifrazione di fedi religiose, o suscitano semplicemente "intellettuali" imbarazzi. Dovrebbero essere, per contro, assunte, in modo del tutto sperimentale e al di là di ogni letteralismo, come modi per indicare piani e livelli differenziati della realtà di cui si può fare, con metodo, osservazione ed esperienza. Modalità di osservazione e di esperienza che, se portate a termine, producono un'espansione e un salto della coscienza stessa in rapporto a sè e al tutto. Il percorso che si delinea [..] prende le mosse dalla "cura di sé" inaugurata dalla tradizione platonica per muovere in una direzione affatto diversa da quella stilizzazione estetica dell'esistenza che spesso, negli ultimi decenni, vi è stata associata. La "cura di sé" apre piuttosto, in connessione con aspetti differenti della sapienza antica e tardoantica, un cammino verso quella radice sacra che abita l'uomo, così come ogni altro segmento del reale. Apre la via a un effettivo e vissuto oltrepassamento dell’umano troppo umano, non nei termini di uno stolido superominismo o di un prometeico furore tecnocratico, bensì nelle forme di una rigenerazione che fa evolvere l'uomo e insieme l'universo a un superiore grado di armonia e di intelligenza, a un'unità di tutto con tutto. Come una possibilità essenziale per disegnare e produrre, appunto, le sorti del postumano secondo modalità che non sia nel mero innesto tecno-macchinico o la manipolazione genetica fine a se stessa.

Dopo la scena fondante dell'oracolo delfico e dell'Alcibiade platonico - che invita a cercare il sè nel riflesso pupillare del divino - il viaggio interiore che conduce al coglimento dell’uno, la rete dei simboli e dei miti che legano visibile e invisibile, il dominio dell'immaginazione vera e del sogno, la teoria dei corpi sottili e la loro connessione con la dimensione propriamente fisica, esercizio delle virtù In rapporto ai differenti piani della realtà, la pratica dei riti e delle iniziazioni teurgiche costituiscono altrettante tappe di un'esplorazione dei testi neoplatonici - da Plotino a Proclo, da Giamblico a Sinesio - per tracciare le linee di un possibile lavoro su di sé, per creare appunto il "nuovo" a partire da "cose antichissime". Un lavoro che attende alla propria materia fisica e psichica congiuntamente, al di là di inesistenti dualismi. Un lavoro che simboli e parole nutrono e sorreggono, perché dove c'è anima, là ci sono sempre anche vibrazioni che pervengono dalla sfera immaginale e che connettono la contemplazione di ogni forma all'evento della propria personale vissutezza. Un lavoro che "deve" essere fatto da tutti coloro cui sta effettivamente a cuore l'evoluzione positiva della terra e dei suoi abitanti. Un lavoro, infine, che la tradizione classica esprime con determinati termini e immagini: altre tradizioni sapienziali, variamente collocate nello spazio e nel tempo, si esprimono diversamente, ma, alla radice, dicono il medesimo. E anche questo è un punto essenziale per concepire il lascito delle culture non solo in termini non conflittuali, ma anche alla luce di una concordanza del tutto alternativa all'astratto globalismo delle merci. Per cogliere tutto ciò è evidentemente necessario transitare dalla letteralità essoterica al cuore esoterico delle cose e dei testi. La consapevolezza storica e filologica delle opere è una precondizione essenziale di un fondato approccio, e, tuttavia, lo sguardo deve procedere alla ricerca di un pensiero vivente, che crei e riplasmi incessantemente i mondi.

da "Il simbolo nell'anima - La ricerca di sé e le vie della tradizione platonica " di Davide Susanetti

Luciano Marradi - Frammenti di Filosofia


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