Pietro Gori

UNA VITA DA ANARCHICO, UNA VITA DA POETA, UNA VITA DA AVVOCATO. UN BREVE RICORDO DI PIETRO GORI

Quella di Pietro Gori è una vita in esilio. Una vita fatta di incarcerazioni preventive, di espulsioni, di ritorni e di nuove cacciate. Una vita da anarchico, una vita da poeta, una vita da avvocato. Pietro Gori era tutto questo. Tutto questo in una sola persona. Convinto sostenitore delle idee libertarie passò l’intera esistenza a lottare per esse. Lottava per i compagni arrestati, che più e più volte, difendeva tanto nelle arringhe pubbliche quanto nelle aule di tribunale. Lottava scrivendo opuscoli sovversivi, ma anche testi poetici e canzoni di ribellioni, che lo resero famoso in tutto il mondo. Lottava in piazza e nei caffè letterari, nelle aule universitarie e tra le barricate delle piazze. Lottava in Italia e in Svizzera, in Sudamerica e perfino in Palestina. Lottava sempre, lottava ovunque. Classe 1865, Pietro Gori aderì fin da giovanissimo all’anarchismo. Questa decisione e le sue prime manifestazioni pubbliche a sostegno dei martiri di Chicago gli costarono la prima incarcerazione. Da li in poi dentro e fuori dalle patrie galere in continuazione. Le accuse sempre le stesse: istigazione alla rivolta di classe, istigazione alla ribellione, diffusione di materiale sovversivo. In mezzo la laurea in giurisprudenza e i primi scritti politici e letterari. Poi la prima espulsione dall’Italia e quella dal congresso di Zurigo, dove i socialisti mal digerirono le sue posizioni libertarie. Dalla Svizzera al Belgio, dalla Francia all’Inghilterra per poi tornare nella penisola e partecipare attivamente alle proteste del 1898, che tra le altre forme di repressione provocarono le famigerate cannonate di Bava Beccaris sulla folla che protestava per il prezzo del pane. Costretto di nuovo alla fuga per evitare il carcere si imbarcò verso il Sudamerica dove tenne corsi di criminologia in cui, opponendosi alle teorie lombrosiane dell’epoca, diffuse una lettura della criminalità basata su teorie libertarie. Tornò in Italia anni dopo e passò gli ultimi anni della sua vita soprattutto a difendere i compagni arrestati. Morì di tubercolosi nel 1911, aveva appena 46 anni. Tra le bellissime produzioni che ci ha lasciato senza dubbio occorre ricordare la canzone Stornelli d’Esilio, nella quale è presente uno dei motti immortali dell’anarchismo. “Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà”.

 Cannibali e re #testi

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