Il dottor Živago

Avevamo appena cominciato a vivere a modo nostro, nella nostra casa, quando venne la guerra. Ora sono convinta che è stata la guerra la colpa di tutto, di tutte le sventure che ancora oggi colpiscono la nostra generazione. Ricordo bene la mia infanzia. In quell’epoca erano ancora in vigore le concezioni del pacifico secolo precedente. Si usava affidarsi alla voce della ragione. Si riteneva naturale e necessario ciò che suggeriva la coscienza. La morte di un uomo per mano di un altro era un caso raro, straordinario, un fenomeno che usciva dai binari del consueto. Si credeva che gli omicidi esistessero solamente nelle tragedie, nei romanzi gialli e nella cronaca dei giornali, non nella vita normale. «E, a un tratto, questo salto da una regolarità placida e innocente nel sangue e nei gemiti, nella follia generale e nella barbarie dell’omicidio di ogni giorno e di ogni ora, legalizzato ed esaltato. Sono cose che non succedono impunemente. Tu forse ricordi meglio di me come tutto, in un momento, abbia cominciato ad andare in disfacimento: il funzionamento dei treni, il rifornimento delle città, le basi dell’armonia familiare, i fondamenti morali della coscienza.»”

Borìs Pasternak, Il dottor Živago, Einaudi (collana Nuovi Universali; traduzione di Pietro Zveteremich, riveduta da Mario Socrate e Maria Olsoufieva), 1964; pp. 468-69.

[Prima edizione mondiale: Giangiacomo Feltrinelli Editore, collana «I Narratori», 15 novembre 1957]

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