La vigna

Nessun bambino ha coscienza di vivere in un mondo mitico. Ciò s’accompagna all’altro noto fatto che nessun bambino sa nulla del “paradiso infantile” in cui a suo tempo l’uomo adulto s’accorgerà di essere vissuto. La ragione è che negli anni mitici il bambino ha assai meglio da fare che dare un nome al suo stato. Gli tocca vivere questo stato e conoscere il mondo. Ora, da bambini il mondo si impara a conoscerlo non – come parrebbe – con immediato e originario contatto alle cose, ma attraverso i segni di queste: parole, vignette, racconti. Se si risale un qualunque momento di commozione estatica davanti a qualcosa del mondo, si trova che ci commoviamo perché ci siamo già commossi; e ci siamo già commossi perché un giorno qualcosa ci apparve trasfigurato, staccato dal resto, per una parola, una favola, una fantasia che vi si riferiva e lo conteneva. Al bambino questo segno si fa simbolo, perché naturalmente a quel tempo la fantasia gli giunge come realtà, come conoscenza oggettiva e non come invenzione. (Che l’infanzia sia poetica, è soltanto una fantasia dell’età matura). Ma questo simbolo, nella sua assolutezza, solleva alla sua atmosfera la cosa significata, che col tempo diviene nostra forma immaginativa assoluta. Tale la mitopeia infantile, e in essa si conferma che le cose si scoprono, si battezzano, soltanto attraverso i ricordi che se ne hanno. Poiché, rigorosamente, non esiste un veder le cose la prima volta: quella che conta è sempre una seconda. Il concepire mitico dell’infanzia è insomma un sollevare alla sfera di eventi unici e assoluti le successive rivelazioni delle cose, per cui queste vivranno nella coscienza come schermi normativi dell’immaginazione affettiva. Così ognuno di noi possiede una mitologia personale (fievole eco di quell'altra) che dà valore, un valore assoluto, al suo mondo più remoto, e gli riveste povere cose del passato con un ambiguo e seducente lucore dove pare, come in un simbolo, riassumersi il senso di tutta la vita. A questo «temps retrouvé» non manca del mito genuino nemmeno la ripetibilità, la facoltà cioè di reincarnarsi in ripetizioni, che appaiono e sono creazioni ex novo, così come la festa ricelebra il mito e insieme lo instaura come se ogni volta fosse la prima.

Cesare Pavese, La vigna - Del mito, del simbolo e d'altro, da "Feria D'agosto", 1946


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