L’uomo che ha fermato il deserto

Yacouba Sawadogo ha 75 anni, più o meno. Forse 80. Non lo sa nemmeno lui con sicurezza, perché conta gli anni in base al ciclo vitale di semina e raccolti. E proprio intorno a raccolti e agricoltura ruota tutta la sua vita.

È nato nel Burkina Faso, uno dei paesi più poveri al mondo, dove la siccità provoca carestie, e il deserto avanza inesorabile.

Ma Yacouba Sawadogo ha dedicato la sua vita a lottare contro il deserto e recuperando e rielaborando un’antica tecnica africana di coltivazione, detta zaï, è riuscito a trasformare in foresta ben 40 ettari di quello che un tempo era un terreno arido e non più produttivo.

Praticamente intorno a ogni pianta lui scava un piccolo pozzetto circondato da pietre, e poi lo riempie di letame. In questo modo le poche piogge si concentrano in una piccola porzione di terreno e non si disperdono. E il terreno, che assorbe acqua e concime, diventa fertile. È un lavoro duro e pesante, ma alla fine dà i suoi frutti: piante, arbusti e alberi iniziano crescere rigogliosi, lì dove ormai non cresceva più nulla.

Oggi Yacouba Sawadogo è un uomo rispettato e amato da tutti, ha anche vinto premi importanti come il Right Livelihood Award. Ma non è stato sempre così: all’inizio veniva deriso dagli altri agricoltori, ormai rassegnati e impotenti, che non credevano nei suoi metodi. Alcuni lo prendevano per matto e visionario, il governo lo osteggiava. Qualcuno aveva anche cercato di boicottarlo, con incendi dolosi e altri atti di vandalismo.

Ma poi il tempo gli ha dato ragione, e alla fine gli altri agricoltori sono andati da lui a imparare queste tecniche, che di anno in anno erano sempre più perfezionate.

Oggi è proprio lui, nonostante l’età, a continuare a insegnare i suoi metodi, tanto in Burkina Faso quanto in altri paesi afflitti dalla desertificazione. Perché con uno sguardo lucido e altruista Yacouba Sawadogo ha ben chiaro un fatto importante, cioè che il suo progetto non riguarda solo lui o la sua famiglia o il suo villaggio, ma riguarda il futuro: "Non voglio mangiare oggi, e lasciare le generazioni future senza niente da mangiare".

Ecco, pensare alle generazioni future non è solo un atto di (stra)ordinaria gentilezza: è necessario e urgente. Non solo in Burkina Faso.

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