Buskash

Il fumo, le fiamme, la polvere che ricopre la città, il panico sui volti dei sopravvissuti, il crollo. Il World Trade Center non c’è più, migliaia di persone spariscono tra le macerie, mescolate ai mobili degli uffici, ai documenti bancari, alle macchine fotografiche dei turisti. Resto inchiodato per ore alla Cnn a guardare l’orrore in diretta. Chiunque di noi avrebbe potuto trovarsi lì. Cecilia aveva tre anni quando l’ho portata per la prima volta a New York. In cima al World Trade Center, la tenevo in braccio a guardare la città dall’alto, incollata alla vetrata da dove anche i grattacieli sembravano piccoli piccoli. Ci saranno stati molti altri bambini in cima alle torri oggi, 11 settembre 2001. Manhattan colpita a morte, e non è un film. Questa volta ci sono riusciti. Il World Trade Center, lo stesso obiettivo del 1993. Allora, il piano dei terroristi era di far cadere, con una potente bomba nel garage sotterraneo, una delle torri addosso all’altra, per provocare – stimavano – ventimila morti nel cuore di New York. Qualche errore e un po’ di “sfortuna”: sei morti e un migliaio di feriti. Adesso, purtroppo, ce l’hanno fatta. Mentre il Boeing 767 della United Airlines trapassa la torre sud come in un videogioco, mi torna un vago ricordo, avevo letto qualcosa di simile. Come si chiamava quel libro? Ci sono, The New Jackals, i nuovi sciacalli. Lo cerco tra i molti volumi collezionati negli anni scorsi sul terrorismo internazionale, sul mondo islamico e sull’Afganistan. Eccolo qua: i tecnici dei servizi segreti americani avevano lavorato a lungo – si racconta nel libro – sul computer di Ramzi Youssuf, l’organizzatore dell’attentato del ’93. Alla fine erano riusciti a entrare in un file molto protetto, e avevano scoperto il Bojinka Plot. Bojinka in serbo-croato significa “esplosione”. Cinque terroristi, agendo indipendentemente, dovevano mettere bombe su altrettanti aerei di compagnie americane, la United e la Northwest, e farli esplodere in volo. Evidentemente il piano è stato elaborato, adattato nel corso degli anni. Oggi gli aerei sono stati usati come missili in attacchi suicidi su New York e sul Pentagono. Che cosa starà pensando in questo momento Ramzi Youssuf, nel carcere dove è rinchiuso da alcuni anni? “Mi accusate di essere un terrorista. Sì, lo sono,” aveva detto ai giudici americani durante il processo del 1997, “e ne sono orgoglioso. Voi avete inventato il terrorismo, e le bombe sono l’unico linguaggio che capite.” Le rovine delle torri gemelle stanno ancora fumando, e per la prima volta la Cnn pronuncia il nome che molti stanno aspettando, Osama bin Laden. “La risposta degli Stati Uniti non si farà attendere,” assicurano i portavoce della Casa Bianca nelle prime conferenze stampa. Neanche di fronte al macello, alle urla e alle invocazioni di aiuto di chi sta per morire, la specie umana è capace di fermarsi, di riflettere. Ci sono ancora persone a brandelli là sotto, non sappiamo ancora quanti stanno agonizzando tra le macerie di New York, e già c’è chi pensa a un nuovo macello. Moriranno altri innocenti. Chi sono le migliaia di sepolti sotto le torri gemelle o tra le rovine del Pentagono, qual è la percentuale di vittime civili? E qual è stata nei conflitti degli anni precedenti? Quanti innocenti sono morti a Sarajevo e a Belgrado, a Mogadiscio e a Baghdad, a Tel Aviv e a Gaza e in tutti gli altri luoghi di guerra del pianeta? Nove volte su dieci, in ciascuna delle guerre di oggi, quel proiettile o quel razzo, quella bomba o quella mina hanno colpito un bersaglio incolpevole. Sono innocenti le vittime sepolte sotto le macerie delle torri. Saranno altrettanto innocenti le vittime che già si programmano tra gli afgani, colpevoli di essere stati invasi dai miliziani di Osama bin Laden. Ci sono molti amici in casa, che vanno e vengono fino a notte fonda. I telefoni non smettono di suonare. Sono teso, stanco. La pietà per le vittime si mescola alla rabbia quando iniziano i “commenti televisivi”. Non sopporto le chiacchiere di molti politici che hanno già capito tutto, individuato buoni e cattivi, e pontificano sul da farsi. So benissimo, tra l’altro, che per molti di loro Osama fino a stamattina poteva essere indifferentemente una città del Giappone o una marca di preservativi. Eppure sono già in onda, specialisti nell’indignarsi, perfino nel piangere se conviene farlo, pronti a tutto fuorché a capire. Orgogliosi della guerra, nostalgici della prima linea, non li sfiora neppure il dubbio che la guerra sia la più grande vergogna della specie umana, una specie talmente poco sviluppata da non riuscire ancora a trovare, dopo millenni di storia, un modo per risolvere i propri problemi che non sia l’autodistruzione. Una specie violenta, che benedice la violenza individuale e di stato, che pratica la violenza come deterrente psicologico, che gode del proprio essere violenta. Una specie capace di dare dignità di pensiero a bestialità quali “alla violenza si risponde con la violenza”. Domani, ne sono certo, i politici leggeranno dieci righe su qualche quotidiano – forse un box con la mappa del terrorismo islamico – e saranno convinti di conoscerne abbastanza per poter fare dichiarazioni infuocate, lanciare anatemi, promettere vendette e, quel che è peggio, prendere decisioni politiche. “Li staneremo col fumo dai loro buchi,” tuona Bush. Non si sa chi debba essere stanato, ma questo è per lui un dettaglio. “Colpiremo i responsabili e gli stati che li proteggono.” Ci risiamo, davvero.

— Gino Strada 

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